Nei tempi odierni, le nostre vite sono ormai talmente compenetrate dagli innumerevoli articoli sanitari esistenti, che tali strumenti sono diventati ormai indispensabili prodotti medici di uso comune che non possono mancare in nessuna famiglia, e non è azzardato affermare che accompagnano ogni individuo dalla nascita fino a fornire utili sostegni durante la vecchiaia. Basti pensare per accennare a qualche esempio, a strumenti molto comuni come termometri, bilance, cerotti, siringhe, disinfettanti, saponi, manometri, o strumenti più specifici ma comunque molto diffusi, come le bilance per neonati utili a monitorarne il peso, o il materasso con circolazione costante d’aria che impedisce il formarsi di paghe da decubito nelle persone anziane costrette ad una lunga degenza a letto.
Secondo la normativa vigente, gli articoli sanitari rientrano come sottoclasse specifica nell’insieme più ampio dei “dispositivi medici”. La legge assegna al Ministero della Salute, in qualità di Autorità competente, il compito di coordinare la vigilanza e il monitoraggio sulla circolazione dei dispositivi medici: a tale scopo sono preposti quattro specifici uffici presso la Direzione generale dei farmaci e dispositivi medici.
In base alla definizione di dispositivo medico contenuta nel decreto legislativo n. 46 del 1997, un dispositivo medico è “uno strumento, un apparecchio, un impianto, una sostanza, o altro prodotto usato da solo o in combinazione (compreso il software informatico impiegato per il suo corretto funzionamento) e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell´uomo a scopo di:
  • diagnosi, prevenzione, controllo, terapia, o attenuazione di una malattia;
  • diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap;
  • studio, sostituzione o modifica dell´anatomia o di un processo fisiologico;
  • intervento sul concepimento.
Un dispositivo medico non deve esercitare la sua “azione principale nel o sul corpo umano con mezzi farmacologici o immunologici, né mediante processo metabolico”, anche se la sua funzione può essere “coadiuvata da tali mezzi”.
La storia degli articoli sanitari è strettamente legata con la storia della medicina. Fin da quando l’uomo ha incominciato a lottare contro le infezioni, le malattie, o le lesioni accidentali, ha sempre cercato il supporto e l’aiuto di strumenti, di artefatti, e di dispositivi in grado di assisterlo nella sua battaglia per la guarigione, e una volta guarito che impedissero al male di ricomparire. Tali strumenti scaturivano dal sapere e dalle congetture che l’uomo possedeva intorno alle cause dei malanni e alla struttura del corpo umano. È una storia che si perde nella notte dei tempi. La si può seguire attraverso rapide tappe, illuminate via via da figure e personaggi molteplici. La prima testimonianza storica è rintracciabile presumibilmente nel noto cranio umano del Neolitico risalente al 3.500 a. C., conservato nel Museo di Storia Naturale di Lausanne, con un grande foro frutto di una primitiva operazione chirurgica, probabilmente eseguita con un punteruolo di silice. Si ritiene fondato che, a seguito dell’operazione, il paziente sopravvisse, quindi è lecito immaginare rudimentali garze a protezione della ferita. Altra tappa decisiva nella rapida carrellata storica degli antenati degli odierni articoli sanitari, vede protagonista indiscusso il greco Ippocrate, al quale si deve, oltre alla sistematizzazione razionale della scienza medica, anche l’invenzione dei primi dispositivi ortopedici, come la  messa a punto di una tavola di legno grazie alla quale ridurre le lussazioni e le fratture, in accordo col principio d’immobilizzazione dell’osso o dell’articolazione. Ecco quindi, con un balzo di mille anni, i Tacuina sanitatis in medicina, manuali di scienza medica diffusi in Italia settentrionale dalla metà del XIV secolo al 1450 circa, nei quali si descrivevano le proprietà mediche di ortaggi, alberi da frutta, spezie e cibi, ma anche stagioni ed eventi naturali, elencandone gli effetti sul corpo umano e le tecniche con cui correggerli o agevolarli. Basati su un testo di medicina araba, i Tacuina contribuirono con la loro diffusione ad introdurre nel mondo europeo dell’epoca le norme igieniche e dietetiche della medicina razionale araba, avviando un cambiamento radicale delle pratiche mediche occidentali. Ed ecco tra le pagine di questi preziosi codici apparire le raffigurazioni degli interni di botteghe nelle quale sono esposti prodotti salutari e articoli medici, e i venditori dietro ai banconi si preparano a venderli o a prepararli: gli antesignani dei moderni farmacisti e dei negozi sanitari.
Ancora 250 anni circa, e si giunge ad un’altra tappa decisiva: nel 1709 Daniel Gabriel Fahrenheit realizza il primo termometro ad alcol, seguito nel 1714 da quello a mercurio. La medicina è ormai entrata nell’era della scienza sperimentale. A questo punto, anche per gli strumenti e gli articoli sanitari si assiste, a partire dall’Ottocento, ad una duplice trasformazione: da un lato si perfezionano e si fanno sempre più rigorosamente quantitativi, dall’altro si realizza una loro ampia diffusione. Espansione che negli ultimi cento cinquant’anni è stata sempre intimamente intrecciata ai seguenti fattori: susseguirsi delle scoperte scientifiche, invasività della tecnica nella vita quotidiana, sviluppo economico.
Tra la fine dell’Ottocento e la Prima Guerra Mondiale, con lo sviluppo e il radicamento del sistema capitalistico, la professione medica riesce a creare ed organizzare un mercato dei servizi sanitari, ponendo altresì le fondamenta, sociali e giuridiche, della propria posizione di predominio sulle altre occupazioni sanitarie. Altra tappa decisiva, tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del secolo scorso, è rappresentata, sotto l’impulso delle società di massa e l’allargamento dei consumi, dall’intervento dello Stato nel settore sanitario nel quadro dello sviluppo articolato del welfare state. Infine, nell’ultimo capitolo di questa storia millenaria, capitolo decisivo perché ancora ci coinvolge, l’intero settore sanitario è stato investito da una serie di mutamenti a partire dagli anni Ottanta. L’evoluzione del capitalismo verso la nuova fase della globalizzazione supportata dalla rivoluzione informatica, ha posto in crisi le strutture del Welfare State in nome di radicali principi neoliberisti, in primis il concetto direttivo della “libertà di scelta dell’individuo-consumatore” (o cittadino-consumatore nella sua coniugazione politica neoliberale): l’individuo, in quanto consumatore, deve avere la possibilità di scegliere sul mercato quali servizi acquistare, in quale quantità ed a quale prezzo. Si è ritenuto quindi necessario riformare e ridurre il settore pubblico, estendendo la logica del mercato a gran parte dei servizi erogati dallo Stato, tramite l’adozione di provvedimenti di deregulation ed introducendo meccanismi che hanno favorito la concorrenza tra i produttori. Inoltre, i nuovi scenari contemporanei hanno provocato il mutamento della relazione tra individuo e società. Aumentano le possibilità di azione individuale e la capacità del cittadino attore sociale di tenere sotto osservazione la propria condizione fisica e di costruire la propria identità come sforzo organizzato riflessivamente. Ne è derivato, quindi, che le “riforme” sanitarie sono state indotte anche da un secondo, importante fattore: la diffusione del consumerismo in sanità. Il nuovo paziente-consumatore è più istruito, più informato, più “riflessivo”, quindi più esigente e perfino più aggressivo: è meno fedele ad un singolo medico, più propenso a ricorrere alle medicine “alternative”, all’auto-cura e finanche alle denunce alla magistratura.
Questo nuovo paziente-consumatore ha provocato un mutamento anche nel mercato degli articoli sanitari, recettivo e pronto a soddisfare le nuove e sempre più articolate esigenze del cliente. Ormai anche la farmacia sotto casa non può esimersi dall’aprire un sito internet dove reclamizzare e mettere in vendita i propri prodotti con la chiara indicazione del prezzo e delle specifiche tecniche degli articoli.
Proprio a tutela del consumatore e per garantire ai singoli produttori eguali condizioni commerciali, il legislatore è intervenuto a disciplinare e regolamentare la materia.
Le direttive comunitarie e le norme legislative italiane che le hanno recepite disciplinano, nello specifico, tre categorie di dispositivi medici:
  1. Dispositivi medici impiantabili attivi: direttiva 90/385/CEE; decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 507.
  2. Dispositivi medici (in genere): direttiva 93/42/CEE; decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46.
  3. Dispositivi diagnostici in vitro: direttiva 98/79/CE; decreto legislativo 8 settembre 2000, n.332.
Gli articoli sanitari appartengono al secondo gruppo di dispositivi medici, quelli in genere (diversi dalle altre due categorie che hanno una regolamentazione specifica, quelli impiantabili attivi e i dispositivi diagnostici in vitro). Tali dispositivi medici, disciplinati dal decreto legislativo n. 46 del 1997, rappresentano la maggior parte dei prodotti reperibili sul mercato, e sono suddivisi in quattro classi (classe I, IIa, IIb e III), secondo le regole di classificazione specificate nell’allegato IX dello stesso decreto. I dispositivi di classe I, sono quelli che presentano minori rischi sotto il profilo della sicurezza, i dispositivi di classe III, sono quelli di maggiore criticità.
Il decreto legislativo disciplina poi, separatamente, anche altri due sottoelementi: – i dispositivi su misura (destinati ad essere utilizzati solo per un determinato paziente); – i dispositivi per indagini cliniche (destinati ad essere messi a disposizione di un medico qualificato per lo svolgimento di indagini cliniche).
Queste due ultime tipologie (dispositivi su misura e dispositivi per indagini cliniche) si rinvengono anche nell’ambito della categoria dei dispositivi impiantabili attivi, disciplinata dal decreto legislativo 507/1992.
 Al pari dei farmaci, prima di essere immessi in commercio i dispositivi medici e gli articoli sanitari devono poter dimostrare la loro sicurezza e la loro efficacia nel campo di azione previsto mediante studi clinici svolti presso strutture idonee ed autorizzate allo scopo. Non sono necessari nuovi studi clinici quando il dispositivo non introduce nessuna variazione funzionale (parametri operativi) ed in termini di prestazioni e sicurezza rispetto a tecnologie già autorizzate di cui è reperibile la letteratura scientifica di riferimento.
Altro parametro indispensabile è la marcatura CE, la quale segnala l´idoneità del dispositivo medico per l´immissione in commercio. Solo la classe I prevede l´autocertificazione, ma in pratica nessun dispositivo medico con finalità di diagnosi e cura rientra nella classe I. Per tutte le altre classi è necessario il rilascio di apposita certificazione, che prevede la verifica di tutte le procedure necessarie da parte di un organismo notificato. In genere, lo stesso organismo notificato esegue le procedure di controllo ordinario e straordinario per il mantenimento della certificazione.
Gli Organismi Notificati (anche indicati come Organismi Designati nelle direttive comunitarie e nei decreti legislativi di recepimento), sono Enti pubblici o privati autorizzati dalle Autorità competenti dei singoli Stati membri ad espletare, su richiesta delle ditte fabbricanti, le procedure di valutazione e di certificazione della conformità dei dispositivi medici previste dalla normativa vigente. L’elenco degli Organismi autorizzati dai diversi Stati viene comunicato alla Commissione Europea ed agli altri Stati membri dell’Unione Europea e pubblicato in un apposito Registro Comunitario.