L´omeopatia (dal greco homoios, simile, e pathos, sofferenza, dolore) è probabilmente la forma più celebre di medicina complementare. Fondata dal medico tedesco Samuel Hahnemann verso la fine del ‘700, si basa sull’assunto teorico che similia similibus curantur (il simile cura il simile),  e cioè che per curare una malattia sia necessario assumere, in dosi fortemente diluite, la stessa sostanza che di solito genera lo stesso malessere.

Omeopatia: CENNI STORICI

Per quanto la nascita dell’omeopatia coincida con i primi studi del suo indiscusso fondatore,  Samuel Hahnemann (1755-1843), possiamo trovarne le basi e le prime intuizioni nelle scuola pitagorica di Crotone del VI sec. A.C. I seguaci del grande inventore del celebre teorema, come tipico del misterioso e ricchissimo periodo nominato a posteriori filosofia “presocratica”, vedevano il corpo umano come un microcosmo perfettamente armonico. Quando esso smarrisce il suo equilibrio, per l’eccesso o la carenza di una delle sue funzioni, subisce come sintomo quella che noi chiamiamo “malattia”. A completare il quadro, già fortemente simile come base teorica alla medicina tradizionale orientale, contribuì quella straordinaria figura sospesa tra storia e mito, tra filosofia e profezia, rappresentata da Empedocle (492-430 a.c.) con la sua visione dell’universo fondato sui quattro elementi o radici materiali (l´aria, l´acqua, la terra e il fuoco), mossi dalle forze primordiali dell’attrazione e della repulsione.
Ippocrate, padre della medicina moderna, fu il primo a sancire quello che diverrà il motto, poi latinizzato, dell’omeopatia: similia similibus curantur (il simile cura il simile), principio a cui Hahnemann dichiaratamente si ispira.
Se dal punto di vista teorico, le basi dell’omeopatia possiamo trovarle nell’antica Grecia, dal punto di vista pratico le prime sperimentazioni paragonabili a quelle di Hanhemann sono senz’altro riscontrabili nella storia avventurosa e non ufficiale, parallela e sotterranea alla medicina convenzionale, dell’alchimia. Paracelso, infatti, nelle sue geniali e rivoluzionarie sperimentazioni, fu il primo a ribadire “sul campo” la famosa affermazione ippocratea, constatando come il mercurio possa provocare e nel contempo guarire lo stesso tipo di ulcere, il fluido salino ingeneri le eruzioni cutanee e proprio per questo il sale ne risulti una cura ideale, ed infine lo zolfo, da lui collegato al fuoco, riesca a curare le febbri, causate proprio da un eccesso di elemento fuoco.
E’ evidente, però, che l’omeopatia vera e propria compare solo con le ricerche di Hanhemann, indiscusso padre della disciplina. E’ interessante notare come l’uomo destinato a rovesciare le certezze della medicina convenzionale ne fosse considerato all’epoca uno dei migliori esperti. Egli era infatti un brillante medico della scuola ufficiale, che esercitava la sua attività presso l´Università di Lipsia con tale successo da esser chiamato perfino alla corte imperiale.
Ma l’urgenza di una nuova via per la medicina assalì drammaticamente questo grande ricercatore fin dai suoi primi anni di attività medica. Hanhemann soffriva il profondo disagio di vedersi costretto ad applicare principi e tecniche tradizionali in cui non credeva nemmeno lui, che considerava aridi frutti d’una conoscenza meramente accademica, priva di valore terapeutico. E’ famoso l’episodio in cui il giovane medico, al culmine della sua professione ma oramai profondamente disilluso sulle possibilità della medicina canonica, dichiara durante un consulto la sua incapacità di curare il paziente, rifiuta i soldi per la sua prestazione e abbandona improvvisamente la medicina.
Per capire una decisione così drastica e coraggiosa, dobbiamo anche esplorare quale fosse il contesto di profondo fermento culturale che ha visto la nascita dell’omeopatia.
Sono gli anni della Germania di Goethe ed Holderlin, divisa tra il recupero nostalgico ed idealizzante dell’età classica e le spinte rivoluzionarie e irrazionali del Romanticismo, un periodo di profondo, anche violento mutamento di valori, parallelo ai continui capovolgimenti della storia. Si pensi che lungo gli anni della vita di Hanhemann si snodano eventi cruciali e contrastanti come la Rivoluzione Francese, l’ascesa e il crollo di Napoleone, la Restaurazione, la Rivoluzione Industriale e l’insorgere delle prime idee socialiste, delle prime insurrezioni che presto sarebbero sfociate nel 1848 e nella nascita, almeno teorica, del comunismo. In particolare, in ambito medico, sono anni di grandi dibattiti, di grandi speculazioni e contrapposizioni dialettiche tra due filoni principali di pensatori, chi da un lato voleva trovare una causa unica per tutte le malattie (Hoffmann, Stahl, Brown), e chi invece voleva scoprire nell’osservazione diretta del fenomeno la cura del sintomo specifico (come Morgagni o Baillie).
In questo contesto, complesso e fecondo, nasce l’impulso alla ricerca di Hanhemann, ansioso di trovare una risposta pratica ed efficace alle infinite teorie e supposizioni che si accavallavano senza fornire una soluzione concreta ai problemi reali delle terapie.
Abbandonata la professione, Hanhemann ritornò al suo mestiere precedente, cioè quello di traduttore di testi dall’inglese. E, per uno di quei paradossi che spesso illuminano la via della conoscenza, fu proprio tramite l’abbandono della medicina che egli potè trovare la chiave per riformarla (sarà lui stesso in futuro ad accostare la sua opera a quella di Lutero).
Nel 1790, traducendo la “Materia Medica” di William Cullen, fu colpito dai risultati dei test con la cinchona, fonte del chinino, all’epoca considerata una delle poche sostanze in grado di curare la malaria e le febbri intermittenti. Nel libro, però, si affermava che, paradossalmente, proprio i raccoglitori di corteccia di china, dalla quale si estrae la chinina, erano molto spesso preda di febbri intermittenti, con sintomi molto simili alla malaria. La coincidenza illuminò Hanhemann che iniziò a sperimentare su sé stesso gli effetti dell’assunzione della corteccia della pianta, attraverso progressive, sempre maggiori diluizioni. Dopo un anno di ricerche, in cui aveva registrato su sé stesso gli stessi sintomi delle febbri intermittenti senza avere mai però la febbre alta, la conclusione fu che la cinchona cura le febbri intermittenti provocandone una di assai minore durata e portata, e che nello stesso tempo faceva da cura anche a quest’ultima.
In questo modo Hanhemann aveva già scoperto sul campo quelli che diventeranno i principi base dell’omeopatia: l’osservazione diretta dei farmaci sull’organismo, la già citata legge dei similia similibus curantur, e la diluizione infinitesimale delle dosi. Queste intuizioni verranno poi approfondite nel suo testo fondamentale del 1810, “Organon della medicina razionale”.
Oltre a presentare le sue scoperte, Hanhemann si scaglia contro le false certezze della medicina del suo tempo, mostrando la distanza dell’erudizione astratta da quelle che sono le reali urgenze curative del paziente. Inoltre, egli aggiunge anche un’interessante fondamento, potremmo dire, medico-filosofico, che lo avvicina moltissimo alla visione della medicina cinese ed indiana. Per Hanhemann la causa delle malattie deriverebbe da un problema energetico o spirituale. Infatti, egli afferma l’esistenza di una “forza vitale” che anima, sostiene e nutre tutti gli esseri viventi e la malattia, non sarebbe nient’altro che il sintomo di un disequilibrio di questa forza. Questa visione “energetica”, già diffusa negli ambienti culturali dell’epoca, presenta davvero sorprendenti analogie con la visione tradizionale orientale; si pensi all’energia Kundalini nella tradizione yogica, considerata riflesso dell’energia divina latente nell’osso sacro di ogni essere umano  (da risvegliare appunto tramite la pratica dello yoga) o al Ki, energia cosmica che è anche il seme dell’essenza individuale, concetto fondamentale per la medicina cinese e per le arti marziali.
Il ruolo della medicina omeopatica è quello di rimettere in armonia questa forza vitale individuale, attraverso la somministrazione del rimedio che, attraverso l’osservazione dei sintomi, si è rivelato quello più adatto, in quanto più simile alla causa dei sintomi stessi. La somministrazione avviene in dosi infinitesimali, ottenute attraverso la diluizione e la dinamizzazione della sostanza.
Le affermazioni di Hanhemann destarono clamore e scetticismo, soprattutto perché contrastavano con l’entusiasmo scientifico di quegli anni, in cui le scoperte più avanzate della biologia cellulare sembravano sgomberare il campo dall’ipotesi di una causa interiore o spirituale dei malanni.
Eppure, l’omeopatia, cominciò a diffondersi, sempre più dopo la morte del fondatore, assorbendo i nuovi impulsi nella visione olistica dell’uomo come  microcosmo integrato.
La tradizione successiva della disciplina vedrà in James Tyler Kent  (1849-1916) un importante continuatore, che enfatizzerà il ruolo della psicologia nella cura omeopatica. A Kent si deve il primo repertorio delle sostanze omeopatiche, da lui catalogate in 700 (oggi si arriva a 5000, e questo dà un’idea della diffusione della terapia).
Schematizzando, possiamo dire che nel corso dell’evoluzione della materia si sono distinte tre scuole di pensiero fondamentali: l’unicismo, in cui si propone un solo rimedio omeopatico, solitamente in alta diluizione; il pluralismo, che propone più rimedi, ma da assumere uno per volta e con un preciso ordine; ed infine il complessismo, che propone l´assunzione di piu´ rimedi mescolati in uno stesso preparato.
Per concludere, nonostante ci siano ancora forti detrattori del valore effettivo della pratica omeopatica (che spesso ne contestano quasi ideologicamente i concetti base), l’omeopatia sta penetrando sempre più nella medicina ufficiale o “allopatica”(cioè che cura tramite i contrari), ponendosi non in frontale contrapposizione ma in feconda complementarità. Facendo un esempio concreto; anche se la medicina convenzionale si fonda sostanzialmente su farmaci allopatici (come gli analgesici, per intenderci), i vaccini (che inoculano una percentuale minima del virus per allenare il corpo a combatterlo) rappresentano un tipico caso di medicina ufficiale che utilizza principi omeopatici.

PRESENZA IN ITALIA ED EFFICACIA SULLA POPOLAZIONE

L’omeopatia, nonostante i dubbi di storici detrattori, sta sempre più entrando a far parte della quotidianità nel nostro paese, non solo per la semplicità di assunzione e l’approccio “dolce”dei rimedi, ma anche per l’interesse che desta il diverso approccio alla malattia e alla cura.
Come riferimenti principali citeremo:
Associazione Italiana Omeopatia, Viale Leonardo Da Vinci, 226 – 00145 Roma.
Tel. 06/5403513. Associazione di riferimento per l´omeopatia.
Centro Omeopatico Italiano, Via Tadino, 30 – 20124 Milano.
Tel. 02/29521282 e 29404778. Distributore di rimedi omeopatici ma anche centro studi e formazione.
Federazione Italiana Medici Omeopatici, Via Sabotino -00100 Roma.
Tel. 06/37516391. Federazione di tutti i medici omeopatici italiani.
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• LUIMO (Libera Università Internazionale di Medicina Omeopatica), Viale Gramsci, 18 – 80122 Napoli – tel. 081/663711. Scuola di formazione per omeopati.
• Scuola di Medicina Omeopatica Hahnemanniana, presso Istituto Omiopatico Italiano 1883.
Corso Belgio 124 – 10153 Torino – Tel. 0118994552.
Sito web: www.omeoto.it – e_mail: info@omeoto.it
• Scuola di Omeopatia Unicista Gnosis, Corso Trapani, 48 – 10139 Torino – tel. 011/3835598. Scuola della tradizio-ne omeopatica unicista.
• S.l.M.O. (Scuola Italiana di Medicina Olistica), segreteria centrale Assisi (PG) – tel. 075/8040157. Specializza-zioni: iridologia, massaggio e reflessologia, fitoterapia ap-plicata, medicina cinese, omeopatia, ecc.). Sede dei corsi: Milano, Firenze, Roma~ Miramare di Rimini.

TRATTATO DESCRITTIVO

Prima di descrivere tecnicamente le fasi del procedimento omeopatico, è bene fare alcuni chiarimenti sulla concezione di malattia e cura all’interno di questa dottrina.
La malattia non viene considerata come un avvenimento negativo, ma come la salutare eliminazione di tossine accumulate in eccesso nell’organismo. Questo processo non va interrotto, ma accompagnato armoniosamente verso il suo compimento naturale.

Approccio allopatico

Questa visione contrasta con quello che è l’approccio tradizionale, “allopatico”, che cioè cura i sintomi con i principi contrari. L’accusa profonda dei fautori dell’omeopatia è che la medicina convenzionale in realtà non elimina le cause della malattia, semplicemente ne rimuove temporaneamente i sintomi. Ciò instaura un circolo vizioso, molto pericoloso per la salute, perché il “germe” della malattia è ancora nel corpo, e soffrendo nel corso della vita di nuove malattie si assumeranno nuovi farmaci, che rimuoveranno solo i sintomi ma non la causa, e così via, creando una spirale discendente in cui non facciamo che accumulare dentro di noi i semi di diverse malattie.

Principio di similitudine del farmaco

Come è noto, il fondamento teorico dell’omeopatia è il cosiddetto “principio di similitudine del farmaco” (similia similibus curantur) enunciato da Hahnemann: il giusto rimedio per una determinata malattia è proprio quella sostanza che, in una persona sana, induce i medesimi sintomi della malattia stessa. La sostanza (o principio omeopatico), viene somministrata, dopo numerose diluizioni in una quantità infinitesimale (questo processo di diluizione è detto “potenza”). Il principio si estende all’affermazione che maggiore è la diluizione, maggiore sarà l’effetto del rimedio.
Proviamo a spiegare in maniera semplice come avvengono i due momenti cardine della preparazione omeopatica della sostanza, la diluizione e la dinamizzazione.
Per ottenere una diluizione omeopatica si parte da un prodotto di origine vegetale, animale o minerale, generalmente lasciato a macerare per settimane, che solo dopo viene diluito.
La dinamizzazione  è la seconda fase, volta a far emergere nuove proprietà dalla sostanza sottoponendola ad una serie di scuotimenti (succussioni).
Hahnemann, col suo stile ricco di suggestioni alchemiche, definì questo processo il “risvegliare nei corpi naturali delle proprietà medicamentose che restano celate fintanto che essi sono nello stato grezzo”.
Una delle potenze più utilizzate è la 12D, che, per renderci conto, equivale ad una concentrazione in cui la sostanza è una parte su un milione di milioni (10 alla dodicesima) . Le più frequenti critiche dei detrattori si fondano sul fatto che diluizioni a potenze così elevate, secondo le leggi della chimica, rendono la sostanza originaria praticamente inesistente nel prodotto finale. Per cui, per gli scettici, il successo delle terapie omeopatiche dipenderebbe solo da un gigantesco effetto placebo.
Un’interessante teoria, in risposta a queste critiche, è la famosa ipotesi della “memoria dell’acqua”.
Nel 1988 fu pubblicato un articolo sulla prestigiosa rivista “Nature” in cui Jacques Benveniste forniva i risultati di un suo esperimento, lanciando l’ipotesi che le molecole d’acqua in un certo senso trattengono la memoria degli elementi chimici con i quali sono venuti a contatto.
L’articolo, se da un lato destò il clamore della stampa e l’interesse del pubblico, suscitò ilarità e proteste da parte degli ambienti scientifici che provarono a ripetere l’esperimento (in maniera controversa e non accettata da Benveniste), e di fronte ad un fallimento bollarono l’affermazione come frode scientifica.
Ma negli anni successivi, diversi esperimenti (come quelli celebri di Masaru Emoto che “fotografano” gli effetti del linguaggio sulle molecole d’acqua osservate al microscopio) sembrano voler approfondire quella che sembra molto più di un’intuizione.
Nel 2008, un esperimento promosso dalla Università Federico II di Napoli sembra in realtà aver dimostrato la validità di questa teoria, ma il dibattito è ancora aperto.
Chiaramente, se fosse vera la teoria della “memoria dell’acqua”, gli effetti benefici della omeopatia apparirebbero comprovati.
Secondo comunque quanto sostenuto dagli stessi esperti di omeopatia, non sarebbe esatto affermare che attraverso di essa si possano curare tutte le malattie. Ciò su cui si insiste è la grande funzione di stimolo esterno del sistema immunitario dei prodotti omeopatici, che li configura comunque, anche nei casi in cui non possono essere considerati una cura, come una positiva integrazione delle terapie classiche. Ma al di là degli effetti su patologie d’origine squisitamente fisica, gli effetti dell’omeopatia sono confortanti nella cura di depressioni, stati d’ansia e delle malattie cosiddette psicosomatiche in genere.
Particolarmente positivi sono i risultati ottenuti curando i bambini, poiché, a detta dei fautori, in quel caso il sistema immunitario è ancora perfettamente integro ed è quindi un terreno molto fertile per gli stimoli esterni.

Conclusioni

In conclusione, nostra intenzione non è prendere parte dal lato degli scettici a priori, né tanto meno da quello dei fautori ad oltranza. Prendendo con equilibrio le mosse dall’esperienza, dalla letteratura e dalla casistica degli ultimi anni, riportiamo che l’omeopatia ha senz’altro apportato effetti benefici nella vita di molte persone, e che essa rappresenta uno degli approcci più convincenti alle forme di medicina cosiddetta “alternativa”. In questo, come in molti altri casi, raccomandiamo però con forza di non improvvisarsi piccoli alchimisti, o di non affidarsi al primo “esperto” che si incontra. Il consueto invito è a documentarsi correttamente ed a consultare prima di ogni decisione un medico competente.