Secondo una peculiare usanza dell’antica Roma, quando un console rientrava nella città dopo una vittoriosa campagna bellica, era usuale che celebrasse il trionfo sfilando nelle strade per raccogliere gli onori che gli venivano tributati dalla folla, ma così facendo correva il rischio di essere abbagliato dalla superbia e dalle smanie di grandezza. Per scongiurare che ciò accadesse, un servo tra i più umili veniva incaricato di ricordare al generale, autore della storica impresa, la sua natura umana: lo faceva pronunciando la nota frase “Memento mori!” (Ricordati che devi morire). La sapienza antica riconosceva ed accettava il comune destino degli umani: comunque sia stata vissuta, nel bene o nel male, con eroismo o sgattaiolando sempre attraverso facili uscite di sicurezza, la Vita ha un termine, un limite invalicabile, la Morte, la cui semplice evocazione dovrebbe rendere tutti più umani.

Disquisire intorno alle onoranza funebri vuol dire, inevitabilmente, parlare della Morte. Forse ancor più del rapporto istituito con la Nascita, è l’articolata rappresentazione ideata intorno alla Morte a sancire per gli umani un passaggio sociale e culturale decisivo. L’antropologia odierna e molti storici concordano, ad esempio, nel fissare l´inizio della civilizzazione e delle manifestazioni culturali e religiose dell’Homo Sapiens proprio al momento in cui esso comincia a seppellire i morti della propria specie.
Le onoranze funebri, o funerale, è un rituale a carattere civile o religioso che si celebra in seguito alla morte di una persona. Gli usi e le tradizioni relative a tale evento mutano secondo il luogo, la fede religiosa o il desiderio del defunto e dei suoi congiunti. Il termine deriva dal latino funus (funerale, sepoltura), che ha molti significati e probabilmente associa il rito all´azione del calare il corpo nella sepoltura con delle funi. È celebrato in genere al cospetto della salma con la partecipazione di alcuni individui appartenenti al gruppo sociale di riferimento (famiglia, cerchia delle amicizie del defunto, conoscenti, colleghi). Il destino del corpo della persona defunta, a seconda della cultura del popolo o delle particolari scelte dettate da consuetudini o motivazioni particolari, può essere molto diversificato. A questo si aggiunge il rango del defunto, che influenza ogni decisione in merito.
Nella cultura occidentale, il corpo del defunto, deposto in una bara, può solitamente subire tre destini diversi:
  • Inumazione: la bara, di solo legno, viene sepolta in terra.
  • Tumulazione: la bara, ermeticamente chiusa, viene murata in un loculo o in una tomba privata, anche di grande dimensione.
  • Cremazione: prevede l´incenerimento della salma in bara dentro forni speciali. Le ceneri, raccolte in una urna, possono essere tumulate in un loculo o in una tomba, oppure sparse in ambiente (aria, mare, terra) o in appositi spazi nei cimiteri. In questo caso la legislazione si differenzia da paese a paese.
Nella quasi totalità delle culture, si celebra la cerimonia commemorativa, il funerale, che può assumere carattere religioso, ma anche civile e laico. Le tombe si trovano generalmente accorpate in terreni civici destinati a tale scopo, detti cimiteri, ove il necroforo si occupa poi materialmente della sepoltura e delle altre operazioni tecniche e pratiche riguardanti le salme.
A livello generale, le onoranze funebri rientrano nella più ampia categoria definita dall’antropologia come “riti di passaggio”. Un rito di passaggio è un rituale che segna il cambiamento di un individuo da uno status socio-culturale ad un altro, cambiamenti che riguardano il ciclo della vita individuale, connessi o meno ad avvenimenti biologi. Il rituale si attua, il più delle volte, in una cerimonia o in prove diverse. Ogni società ha elaborato e continua ad elaborare alcune procedure cerimoniali per marcare le principali tappe della vita delle persone che ne fanno parte: la nascita, l´ingresso nella società adulta, il matrimonio, la morte. Le cerimonie rinsaldano il sentimento di appartenenza alla comunità e creano un senso di continuità con la tradizione passata, oltre a fornire delle occasioni di socializzazione per i membri del gruppo. I riti di passaggio permettono di strutturare la vita dell’individuo secondo tappe precise, che garantiscono una percezione tranquillizzante dell’individuo nel rapporto decisivo con la sua temporalità e con la sua mortalità. Questo insieme di pratiche ha dunque un ruolo importante per l´individuo, per la relazione tra l´individuo e il gruppo e per la coesione del gruppo nel suo insieme.
Tale tipologia rituale è stata indicata come universalmente diffusa dall´etnologo Arnold Van Gennep (1873-1957), che per primo nel 1909 la descrisse.
Successivamente tale categoria concettuale è stata costantemente utilizzata dagli studiosi di scienze etno-antropologiche per descrivere rituali presso i più disparati gruppi sociali.
Tornando ai riti funebri, essi sembrano essere stati celebrati sin da tempi remotissimi. Nelle grotte dello Shanidar in Iraq, sono stati scoperti degli scheletri di Neanderthal coperti da un caratteristico strato di polline, ciò ha suggerito che nel periodo di Neanderthal i morti potessero essere sepolti con un primitivo cerimoniale di cui il presunto omaggio floreale rappresenterebbe un arcaico simbolismo. Sviluppando tale assunto, è possibile che già allora si credesse in una forma di sopravvivenza del defunto, un aldilà, e che in ogni caso gli uomini fossero ben consapevoli ciascuno della propria mortalità e capaci di esprimere un lutto.
Già durante il Neolitico, in Italia, era diffuso il culto dei morti, ai quali si dava sepoltura secondo un rituale che prevedeva il rispetto per il defunto e una cura particolare per la tomba. In altre culture le cerimonie e le usanze sono state differenti: ad esempio, presso gli antichi persiani, per i quali sia la terra sia il fuoco erano sacri, i cadaveri non erano seppelliti o bruciati per non contaminare i due elementi, ma lasciati a decomporsi su piattaforme sopraelevate; tale modalità fu in uso anche presso alcune tribù di nativi americani. Presso le tribù Yanoami, della zona amazzonica, il corpo del defunto prima viene cremato, poi le sue ceneri vengono impastate con una poltiglia a base di banana, quindi mangiate da tutta la tribù: in tal modo si crede che l´anima del morto rimanga tra i suoi cari.
Rimanendo nell’ambito della tradizione occidentale, ripercorrere rapidamente le pratiche di culto nel mondo greco e romano, può risultare utile al fine di notare come nei nostri rituali contemporanei permangano elementi antichissimi, filtrati dalla cultura cristiana. Presso i Greci, gli onori dovuti ai morti erano un dovere fondamentale di pietà religiosa, che spettava ai figli o ai parenti più stretti. Si riteneva che la celebrazione del rituale propiziasse il viaggio del defunto verso l´Ade: l´anima di chi non aveva ricevuto onori funebri era condannata a vagare senza pace, e perseguitava quanti non avevano osservato l´obbligo dei funerali. Descrizioni dei rituali più antichi si trovano nei poemi omerici, e comprendono l´esposizione del cadavere (próthesis) e il compianto delle donne (góos); il rito tradizionale non presenta comunque sostanziali mutamenti nel tempo.
Le donne lavavano il corpo del defunto e lo cospargevano di essenze dopo che gli erano stati chiusi gli occhi (in epoca classica, si affermò l´uso di porgli nella bocca un obolo: il pagamento del passaggio sulla barca di Caronte); rivestito e avvolto in un sudario, il corpo veniva esposto su un letto, con i piedi rivolti verso la porta; su di esso si ponevano corone e bende. L´esposizione aveva una durata variabile (in genere uno o due giorni) e la salma veniva vegliata durante la notte. La casa veniva addobbata con corone (soprattutto di mirto e di alloro) e davanti alla porta veniva posto un vaso colmo d´acqua perché i visitatori potessero purificarsi quando uscivano. La sepoltura aveva luogo prima dell´alba; una processione seguiva il carro con il quale la salma veniva trasportata fino alla necropoli (ma a volte si trasportava a braccia il letto funebre): l’apriva una donna che portava un vaso per le libagioni, seguita dagli uomini, dalle donne e da suonatori di flauto. Si procedeva poi alla cremazione o all´inumazione: nel primo caso, la salma veniva posta su alcuni oggetti cari al defunto e le ceneri erano raccolte in un’urna che veniva collocata nel monumento della famiglia; nel caso della sepoltura (la procedura più diffusa), il corpo veniva posto in una bara in legno o terracotta. Il corredo funebre era costituito da oggetti della vita quotidiana (armi, strigili, dadi, ecc. per gli uomini; fiale di profumi, gioielli, strumenti del lavoro domestico, ecc. per le donne; giocattoli per i bambini); nella tomba si ponevano inoltre offerte votive di cibo, entro coppe, vasi, piatti ecc., quindi si eseguivano libagioni, frantumando poi parte dei recipienti utilizzati. Oltre al culto privato, si dedicavano ai morti celebrazioni pubbliche e ufficiali. In Grecia la meglio nota è costituita dalle Antesterie, festa che durava 3 giorni nel mese detto appunto Antesterione (febbraio-marzo).
Nell´antica Roma, il maschio più anziano della casa, il pater familias, veniva chiamato al capezzale del moribondo, dove aveva il compito di raccogliere l’ultimo alito vitale di chi si trovava in agonia.
I funerali delle persone eccellenti venivano normalmente affidati a professionisti, veri e propri impresari di pompe funebri chiamati “libitinarii”. Nessuna descrizione diretta dei riti funebri è giunta fino a noi, comunque è dato supporre che generalmente comprendessero una processione pubblica fino alla tomba (o alla pira funeraria, sulla quale il corpo veniva cremato). Al termine della processione, quando il corteo giungeva nel Foro, veniva pronunciata la laudatio funebris del defunto. Mimi, danzatori e musici, come pure lamentatrici professioniste (prefiche), venivano assunti dall´impresa per prendere parte ai funerali.
I Romani meno scrupolosi potevano servirsi di mutue società funebri (collegia funeraticia) che svolgevano tali riti per loro conto. Nove giorni dopo la sistemazione definitiva della salma, avvenuta mediante seppellimento o cremazione, veniva data una festa (coena novendialis), in occasione della quale veniva versato vino o altra bevanda di pregio sulla tomba o sulle ceneri. Poiché la cremazione era la scelta prevalente, v’era l´uso di raccogliere le ceneri in un’urna funeraria e deporle in una nicchia ricavata in una tomba collettiva chiamata columbarium (colombaia). Durante questi nove giorni, la casa era considerata contaminata (funesta), e veniva ornata di rami di cipresso o tasso perché ne fossero avvertiti i passanti. Alla fine del periodo, veniva spazzata e lavata nel tentativo di purificarla del fantasma del defunto.
Sette festività romane commemoravano gli antenati di una famiglia, compresa la Parentalia che si teneva dal 13 fino al 21 febbraio, per onorare appunto gli avi, e le Lemuria, che si teneva nei giorni del 9, 11 e 13 maggio, in occasione della quale si temeva che fossero attivi spettri (larvæ), che il pater familias cercava di placare con l´offerta di piccoli doni.
Come si evince da questa rapida carrellata storica, il rito funebre, presso la maggior parte delle culture, richiede tipicamente la presenza di una pluralità di persone e spesso è presieduto da un’autorità di riferimento dal punto di vista sociale (inclusi ovviamente i ministri del culto), politico o morale. Le onoranze funebri, rientrando come si è visto nel gruppo dei “riti di passaggio”, assolvono ad alcune determinate funzioni sociali, le quali tuttavia non sono riscontrabili sempre ed in egual misura nei vari gruppi etnici e sociali:
  • Ufficializzare alla comunità la dipartita. Coloro che assistono al rito funebre “prendono pubblicamente atto” del trapasso: la cessazione della permanenza del defunto nel gruppo sociale. Dopo questa “doverosa notifica” ufficiale, si possono dare corso a tutti gli effetti civili della dipartita (come il diritto successorio).
  • Il richiamo a specifiche concezioni etiche o religiose della comunità di appartenenza. Dal punto di vista religioso, le celebrazioni funebri hanno il valore di suffragio (ossia conferma) dell’avvenuto passaggio allo stato spirituale: l’anima non perisce col corpo fisico e la morte del singolo rappresenta il momento essenziale di contatto con il dio di riferimento. In questo modo le onoranze sanciscono il passaggio del defunto alla condizione del mondo ultraterreno. L’anima prosegue il suo viaggio come essenza di altro tipo.
  • Il giudizio sul defunto. Il funerale può avere la funzione di evidenziare le azioni e le scelte compiute durante la vita dal defunto, al fine di ricavarne un insegnamento utile per la comunità conservandone una sintesi che spesso si esprime nella orazione funebre.
  • Esprimere solidarietà alla famiglia del defunto.
Soprattutto nel mondo occidentale, la morte è vissuta con dolore (cordoglio, letteralmente “dolore del cuore”), rimpianto, commozione, senso di privazione del rapporto con il defunto, innescandosi il lutto. In questo senso prevale l’interpretazione dell’evento come fatto negativo, un danno sia personale che sociale che colpisce i superstiti, oltre che il defunto; e ciò anche laddove siano maggiormente influenti i culti che considerano la morte come un avvicinamento alla divinità e dunque un momento, se non positivo in sé, quantomeno non negativo.
Presso altri contesti culturali, al contrario, il dolore della perdita è superato (o “esorcizzato”) dalla gioia, dettata dalla convinzione che il defunto ha raggiunto una dimensione ultraterrena. In questi casi, il rito funebre, senza venirne intaccata la sacralità, è segnato da passaggi festosi e talvolta ludici, e le ritualità comprendono occasioni a volte di convivio, altre volte di canto (o di esibizione poetica). Il riso, secondo altre concezioni, nasce anche dalla volontà di onorare la memoria del defunto dedicandogli un momento di piacere anziché di dolore, vivendo in suo onore un momento di vita piacevole e non di malgradita mancanza.
In Italia lo svolgimento dei funerali è regolato dal DPR 285/90 (che è stato oggetto, in seguito, di alcune circolari interpretative, ed è stato in alcune parti superato da successivi provvedimenti di legge, come ad esempio per quanto riguarda la cremazione). Il DPR 15/97 regolamenta i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private, sul Servizio Mortuario. La prescrizione ai Comuni di “istituire una sala per onoranze funebri al feretro” è rimasta generalmente lettera morta, salvo per quei cimiteri dove sia possibile effettuare anche la cremazione: in questo caso la cosiddetta “Sala della memoria” può essere utilizzata pure per questo scopo.
Anche in paesi di copiosa produzione normativa come l´Italia, curiosamente, le materie funebri sono coperte da esigua regolamentazione, nella quale è del tutto prevalente l´aspetto sanitario (norme di sicurezza epidemiologica).
In Italia, generalmente, le volontà del defunto in merito alla modalità di esecuzione del funerale, se espresse, vengono rispettate, ma chi teme che il suo erede (o chi altro dovrà seppellirlo) possa non rispettare la sua volontà di esequie laiche  o d’altro tipo può fare un testamento olografo (scritto tutto di suo pugno, a mano, datato e firmato), chiuderlo in una busta e consegnarlo a un notaio (a meno che non preferisca farlo scrivere direttamente dal notaio, e allora sarebbe un testamento pubblico), dove scrive, fra l’altro, che se l’erede non rispetterà la sua volontà di esequie specifiche, le disposizioni testamentarie a suo favore s’intenderanno revocate, salvo solo quanto ha diritto di ricevere per legge.