Il training autogeno (letteralmente “allenamento prodotto dall’interno, generato da se stesso”) è una tecnica di auto distensione psichica e somatica elaborata dallo psichiatra e neurologo tedesco Johannes Heinrich Schultz (1884-1970) per attuare un decondizionamento di stati negativi e parallelamente un condizionamento positivo, ristabilendo così un equilibrio funzionale creativo nella personalità.
CENNI STORICI
Johannes Heinrich Schultz (1884-1970), psichiatra e neuropatologo, aveva maturato nel corso degli anni un forte interesse per le tecniche di suggestione ipnotica e autoipnotica all’interno del percorso di psicoterapia. Suo maestro e collaboratore in questa ricerca fu Oskar Vogt (1870-1959), che diede il nome a un metodo di rilassamento (noto come rilassamento frazionato di Vogt) fortemente centrato su una forma di autosuggestione, la ideoplasia (dal greco: “formazione di immagini”) psicomotoria. Questa tecnica si basa sul fatto che, semplicemente pensando di compiere un movimento, anche senza procedere al comando volontario, si produce comunque una modifica elettrica nel centro cerebrale del movimento che va a interessare le fibre nervose motorie dell’organo: lo stesso principio può essere quindi applicato al rilassamento. Nel 1925-26 Schultz fu tra i membri fondatori del primo Congresso Generale di Psicoterapia: negli stessi anni elaborò un metodo di rilassamento con implicazioni più estese e profonde di quello di Vogt e meno centrato sui principi dell’ipnosi, che nel 1928 ricevette il suo nome definitivo, autogenes Training (training autogeno), e iniziò a diffondersi intorno al 1932. Con il suo collaboratore Wolfgang Luthe il dottor Schultz firmò il testo fondamentale della nuova disciplina, Terapia autogena (1969): fu proprio Luthe, tra l’altro, a divulgare il training negli U. S. A. e a definire in senso professionale la figura del terapeuta che avrebbe guidato il paziente nell’apprendimento e nell’esecuzione degli esercizi.
Il successo della nuova tecnica crebbe nel corso degli anni per gli strumenti che offriva alla psicoterapia ma anche e soprattutto, come suggerisce U. Galimberti, perché consentiva di superare quello che Freud chiamava “il muro della biologia”, ovvero la presunta separazione tra il corpo fisico e le dinamiche interiori della psiche. Il metodo fu sottoposto da subito a verifiche cliniche, inizialmente nella sua “patria”, la Germania, e dagli anni ’80 in tutto il mondo. Nel 2002 una supervisione generale di 60 studi diversi arrivò a conclusioni estremamente incoraggianti: nel trattamento di diversi disturbi il training autogeno ha ottenuto effetti notevolmente positivi sia in assoluto che paragonato ad altre cure, e la maggior parte dei soggetti ha dichiarato di averne anche ricavato un generale miglioramento della qualità della vita. Si sono avuti riscontri scientificamente obiettivi del fatto che il training autogeno ristabilisce l’equilibrio tra l’attività del sistema nervoso simpatico e quella del sistema parasimpatico, con ricadute benefiche sulla salute complessiva, in quanto il parasimpatico presiede alla digestione, al movimento degli organi interni, abbassa la pressione sanguigna, rallenta il battito cardiaco e aumenta la funzionalità del sistema immunitario.
Una forma semplificata degli esercizi di training autogeno è quella elaborata nel biofeedback (o terapia della retroazione biologica) da autori come Elmer Green, Steve Fahrio, Patricia Norris, Joe Sargent e Dale Walters: tuttavia il legame tra questa pratica “alternativa” e una forma di meditazione molto controversa come la Transcendental Meditation (Meditazione Trascendentale o MT) di Maharishi Mahesh Yogi rende questi metodi molto meno affidabili rispetto a quelli di Schultz e Luthe.
SCUOLE DI FORMAZIONE, UNIVERSITA´ E CORSI DI AGGIORNAMENTO
Il metodo originale di Schultz e Luthe, comprensivo anche degli esercizi superiori, richiedeva almeno un anno di insegnamento: ma la maggior parte dei corsi oggi disponibili mirano a formare nel ciclo inferiore e preliminare, con un numero variabile di lezioni (di solito intorno a 10).
Tra le molte scuole e istituti che offrono corsi di T. A., segnaliamo:
SCUPSIS –  Scuola di Psicoterapia Strategica Integrata Seraphicum
V. del Serafico, 3 – Roma
Tel. 06.5190102
CISSPAT – Centro Italiano Sviluppo Psicoterapia a Breve Termine
P.zza De Gasperi, 41 – Padova
Tel. 049.650861
ProContinuum
Via Pellegrino Matteucci, 41 – Roma
 Tel./fax 06.57289627 – cell. 347.0013559
CISERPP – Centro Italiano Studi e Ricerche in Psicologia e Psicomotricità
Lungadige Catena, 5 – Verona
Tel. 045.8307801
CIFRIC – Centro Italiano per la Formazione Ricerca e Clinica in Medicina e Psicologia
Via Mergellina, 44 – Napoli
Tel. 081.667676
Ig. Art – Istituto di Gestalt, Arte, Terapia e Teatro
Via Lucania, 13 – Roma
cell. 348.6508433
ISCA – Istituto di Scienze Cognitive Applicate
Via San Tommaso, 42 – Capua (CE)
Tel. 0823.625633 – cell. 346.8169622
 
PRESENZA IN ITALIA ED EFFICACIA SULLA POPOLAZIONE
Ormai da diversi decenni il training autogeno è ampiamente utilizzato soprattutto nell’ambito di psicoterapie a breve termine volte al superamento di disturbi come l’ansia, gli attacchi di panico e le varie fobie – tutte forme di disagio molto diffuse nella civiltà urbana di massa e per le quali l’approccio di Schultz è particolarmente consigliato, in quanto consente di entrare nel “laboratorio” interiore in cui questi conflitti mettono radici, sia a livello fisico che a livello psichico. Così è frequente trovare psicoterapeuti che hanno approfondito, ad esempio, le tecniche di ipnosi, il training autogeno e le strategie del counseling per poi applicarle a seconda dei casi. Gli esercizi di training autogeno vengono prescritti anche per curare diverse patologie mediche, sebbene si tratti per lo più di fenomeni tipicamente psicosomatici e quindi da affrontare all’interno di un percorso terapeutico che coinvolga parallelamente corpo e psiche.
La validità del training autogeno è stata confermata più volte da indagini statistiche fondate su prove di efficacia cliniche; inoltre, come per tutte le terapie di questo tipo, la percezione dei pazienti non può che rientrare nei criteri di valutazione, e si tratta il più delle volte di una percezione positiva, che indica un miglioramento della qualità della vita.
TRATTATO DESCRITTIVO
Con il termine autogenes Training (training autogeno) J. H. Schultz intendeva suggerire che il suo metodo era in grado di condurre il paziente nell’officina interiore della sua personalità, rendendolo sempre meno dipendente dal rapporto con lo psicoterapeuta – che pure restava essenziale come guida e riscontro – e sempre più, quindi, terapeuta di se stesso. Nel training autogeno confluiscono diverse esperienze ed intuizioni: tecniche autoipnotiche, elementi che ricordano da vicino alcuni stadi delle meditazioni soprattutto orientali e in particolare la chiara coscienza dei punti di contatto tra la psiche e l’esperienza immediata del corpo.
La pratica del training autogeno (indicato con la sigla T. A.) inizia con l’apprendimento di alcune posture corporee (supina, della poltrona – ovvero abbandonandosi in modo da poggiare testa e avambracci – e del cocchiere – ovvero seduti sul bordo della sedia, lasciando pendere le braccia lateralmente e poggiando gli avambracci sulle cosce) in cui è possibile effettuare al meglio gli esercizi veri e propri. Si tratta di due esercizi fondamentali e di quattro complementari. I primi due sono: l’esercizio della pesantezza, che modifica il tono muscolare producendo uno stato di rilassamento dei muscoli lisci e striati, e l’esercizio del calore, che modifica la funzionalità vascolare producendo una vasodilatazione periferica e quindi un aumento del flusso sanguigno. Una volta raggiunto quello che potremmo chiamare il “grado zero”, una stabilizzazione generale del corpo, si passa all’esercizio del cuore, che modifica positivamente il ritmo e l’attività cardiaca; l’esercizio del respiro, che modifica l’attività polmonare equilibrando il flusso ritmico della respirazione; l’esercizio del plesso solare, che investe gli organi interni soprattutto nella zona dell’addome; e infine l’esercizio della fronte fresca, che induce una vasocostrizione cerebrale (utile a volte nella cura di alcune cefalee). Ponendo il corpo in una posizione di rilassatezza e immobilità e alterandone alcune funzioni e manifestazioni in modo “autoindotto” (autogeno), si arriva ad uno stato di sempre maggiore e generale passività-ricettività, in cui la volontà è inattiva e si è quindi in grado di osservare – come in un limpido specchio – ciò che accade nel corpo e nella mente: come accade in molte forme di meditazione, ad esempio la meditazione buddhista di consapevolezza (vipassana). In tal modo si producono spontaneamente stati psicofisici che tendono a sostituirsi, col tempo e con la pratica (il training, appunto), a quelli legati invece a condizioni di conflitto interiore ed ansia: si ha parallelamente l’autoregolazione di funzioni corporee involontarie (cardiocircolatoria, respiratoria, organi e visceri interni) e l’autoinduzione di una calma vigile che migliora le capacità di concentrazione e introspezione (Schultz parla di “tuffo in se stessi”). Dopo il ciclo dei sei esercizi centrati sul corpo si passa ad altre tecniche direttamente volte alla terapia della psiche: prima si lascia emergere dall’inconscio il proprio “colore personale”, espressione simbolica della propria costituzione psichica profonda; poi si visualizzano, guidati dal terapeuta, tutti i colori dello spettro, facendo emergere man mano le risposte emotive; quindi si visualizzano oggetti nello spazio interiore; nell’esercizio successivo si cerca di visualizzare invece idee “astratte”; si percepiscono poi i fenomeni psichici e mentali nel loro affiorare spontaneo; si visualizza una persona; e infine si sperimentano le “risposte dell’inconscio” a domande poste dal terapeuta o dal paziente stesso. Come si vede, si tratta di un processo meditativo-psicoterapeutico in cui sono sintetizzate creativamente numerose componenti, riconducibili tutte in qualche modo all’immaginazione attiva: riscoperta anche da Jung come strumento fondamentale della trasformazione interiore, consente di dar vita attraverso immagini emotivamente “cariche” al mondo oscuro dell’inconscio; inoltre le tecniche di Schultz, legando strettamente psiche e corpo, danno al percorso terapeutico un’immediatezza e una concretezza anche maggiore rispetto ad altre terapie e portano il paziente alla chiara coscienza di essere un’unità dinamica, corpo-psiche-mente.
Il training autogeno ha dimostrato una notevole efficacia sia in medicina che in psicoterapia: ovvero sia in diverse patologie del corpo che in diversi disturbi e conflitti della psiche. In ambito clinico si segnalano miglioramenti in patologie dermatologiche (come psoriasi ed eczemi) e dell’apparato digerente (come la sindrome del colon irritabile, alcune forme di gastrite, stipsi etc.) legate a situazioni di stress; inoltre si rilevano effetti direttamente positivi, attraverso il lavoro col respiro e con l’area cardiaca, sui disturbi fisici correlati all’ansia – per cui ad esempio si stabilizzano i valori della pressione, migliora la circolazione periferica e si attenuano i problemi respiratori. Sul piano neurologico il training autogeno, può ridurre sensibilmente alcuni sintomi del morbo di Parkinson e della sclerosi multipla col lavoro sulle funzioni motorie e la propriocezione; può correggere positivamente l’immagine corporea del paziente e aiutarlo quindi nella cura della sindrome dell’arto fantasma (la sensazione di possedere ancora un arto dopo la sua amputazione): rappresenta soprattutto un valido strumento nell’affrontare diversi disturbi del sonno e alcune forme di cefalea (in particolare da stress e vasomotoria). In ambito psicologico, è soprattutto nella terapia dell’ansia, delle fobie e degli attacchi di panico che il training autogeno, dà i suoi frutti migliori, non tanto nella fase dell’attacco vero e proprio, quanto in quella cruciale della sua preparazione ed attesa: infatti la maggior parte degli esercizi mira proprio a decondizionare l’ansioso, cioè a fargli toccare con mano il processo di costruzione del fenomeno-ansia con le sue forti radici nell’esperienza del corpo e a far quindi emergere in lui un condizionamento opposto, liberatorio. Per lo stesso motivo le tecniche del training autogeno sono utili in medicina sportiva per il superamento dell’ansia preagonistica, nel trattamento della dipendenza da sostanze e in vari disturbi della sfera sessuale: mentre non risultano efficaci, ed anzi potrebbero diventare dannose, nel trattamento di patologie gravi come – sul piano fisico – l’infarto e il diabete e – sul piano psichico – le psicosi e i disturbi ossessivi.
Nonostante l’indubbia somiglianza con alcuni aspetti dell’ipnosi e di altre tecniche di rilassamento (come il rilassamento frazionato di Vogt e il rilassamento muscolare progressivo di Jacobson), il metodo di Schultz presenta dei tratti specifici: a differenza della suggestione ipnotica comune, il condizionamento indotto dagli esercizi del training autogeno è duraturo in quanto coinvolge più strati della personalità (il tracciato delle onde cerebrali EEG di un soggetto che sta praticando il training autogeno non corrisponde a quello di un soggetto sotto ipnosi o dormiente); anche rispetto agli altri esercizi di rilassamento si rilevano modificazioni fisiologiche e neurofisiologiche più profonde a cui corrispondono più solidi miglioramenti emotivi, cognitivi e comportamentali.