La diabetologia è la disciplina medica che si occupa dello studio e della cura del diabete.
Il diabete è un disordine metabolico caratterizzato da iperglicemia cronica con alterazioni del metabolismo di carboidrati, grassi e proteine, causati dalla secrezione insulinica (scarsa), dall´azione insulinica (insufficiente) o di entrambe. Il diabete è responsabile di danni a lungo termine, dalla disfunzione  all´insufficienza di vari organi. I suoi sintomi principali sono polidipsia, poliuria, annebbiamento della vista e perdita di peso.

I CENNI STORICI

L’origine del termine risale alla lingua greca, con diabete si intendeva ciò che passa attraverso; anche nella lingua latina esiste un precedente: la parola “diabetes”, ossia sifone. Entrambe le definizioni riportano alla caratteristica più comune della malattia, ovvero la produzione di una grande quantità di urina – poliuria -. Anche un ulteriore disturbo del diabete era già stato individuato, in particolare si tratta dell’eccessiva sete – polidipsia -; ciò che nell’antichità si ignorava, era la presenza di glucosio nel sangue e nelle urine. Accenni alla poliuria si trovano già nel mitico papiro di Ebers (il più interessante dei 12 papiri medico-chirurgici giunti fino a noi). Tuttavia nella medicina Indiana antica si parlava di “urina di miele”, un esempio è offerto da Sucruta, il leggendario medico indiano che identificava il “madu mèhe” come malattia dei ricchi, i quali ne erano maggiormente colpiti a causa della loro dieta ricca di riso, farina e zucchero. Sucruta aveva notato che le formiche si avvicinavano all’urina, attirate dallo zucchero contenuto in essa. Un particolare simile, con i cani al posto delle formiche, avveniva in Cina, dove per la medicina il diabete era la malattia della sete.
Se in Grecia oltre al nome, non si studiò attentamente la malattia (si pensi che il grande Ippocrate parlò solo di poliuria, mai di diabete), nel mondo latino le cose andarono diversamente. Grazie ad Areteo di Cappadocia si ha la più completa descrizione della malattia, possibile a quel tempo. Tuttavia i latini usavano poco il termine diabete, al quale preferivano perifrasi come: profluium urinae o nimia profusio urinae (eccessiva produzione di urine). Il termine esatto è stato usato unicamente dal sopra citato Areteo e da Galeno, che per primo ne comprese l’etimologia greca e latina, ed al quale è possibile attribuirne la paternità. Lo stesso Galeno, inoltre attribuì, seppur erroneamente, la malattia ai reni e non a veleni, o allo stomaco o addirittura alla poliuria non integrata da liquidi a sufficienza, come si credeva fino a prima di lui.
Durante il Medioevo è ancora il mondo arabo a essere protagonista di grandi progressi; Avicenna nella sua opera Canon Medicinae ritorna sulle urine mellite (dolci) aggiungendo il particolare che la malattia ha origine nel fegato. Vittorio Trincavella, medico rinascimentale veneziano, giunge quasi alla scoperta, assaggiando le urine. Il suo contemporaneo Paracelso compie una scoperta eccezionale ma anche un grossolano errore di interpretazione. Egli, infatti, riesce a trovare delle alterazioni nel sangue, ma anziché glucosio, pensava si trattasse di una sostanza salina.
Ancora di zucchero nelle urine si parla nel ‘600: nel 1674 Thomas Willis scopre tracce di zucchero nelle urine, inoltre non reputa il diabete imputabile ai reni, quanto piuttosto al sangue che una volta liquefatto passa attraverso i reni con i Sali che contiene, la novità importante apportata da Willis è l’individuazione dello zucchero anche se non l’ha ancora scoperto chimicamente. Un altro merito di questo medico è dato dalla sua distinzione tra diabete anglicus (che di lì a poco sarà il mellito) e diabete insipido (che tutt’ora è così definito). Al contemporaneo Cullen va attribuita la scoperta del fattore patognomico della malattia, definita anche idiopatica.
La dimostrazione chimica che lo zucchero è presente nelle urine risale alla fine del 1700, attraverso gli esperimenti di Pool e Dobson, nel 1775, seguiti da Thomas Cawley nel 1778 e da Frank nel 1791. È proprio grazie a Cawley che si inizia a trovare un nesso tra il diabete mellito e il malfunzionamento del pancreas, per lui a causa della presenza di calcoli. John Rollo ha un peso non indifferente nel campo delle scoperte, a lui si deve ad esempio la teoria gastrica, secondo la quale la causa del diabete è nello stomaco, egli inoltre inaugura una serie di esperimenti che si protrarranno per la prima metà del XIX secolo, cioè la ricerca e la scoperta del glucosio nel sangue. Il contributo di Wilhelm Griesinger è stato quello di dimostrare l’esistenza di un’alterazione dei succhi gastrici dei diabetici, ma non è riuscito a dimostrare che solo i diabetici hanno glucosio nel sangue.
Bisogna aspettare Thomas Watson nel 1843 e Magendie nel 1847 per dimostrare che il sangue di tutti gli uomini contiene glucosio, la differenza fra l’individuo sano e il diabetico è stabilita dalla quantità/concentrazione del sangue stesso, data da un processo di fermentazione. La scoperta della causa dell’eccesso di glucosio nel sangue e nelle urine dei diabetici si deve al medico e fisiologo Claude Bernard, ed è legata a un’altra scoperta, ovvero alla funzione glicogenica del fegato. Sempre a lui si deve la dimostrazione che lo zucchero presente nel sangue non è solo derivante dall’alimentazione. Ciò che ignora, invece, è la causa, che verrà scoperta successivamente: il diabete non è imputabile al malfunzionamento del fegato ma è un disturbo della funzione endocrina del pancreas.
Nella seconda metà dell’800 si evolve la “teoria gastrica” di John Rollo. Ma è con la scoperta del nesso fra il malfunzionamento del pancreas e il diabete mellito, che si ha una svolta per la cura di questa malattia. Apollinaire Bouchardat è stato il primo nella storia del diabete a sottoporre i suoi pazienti ad una dieta adeguata alla patologia (basti ricordare che nell´antichità i latini curavano il diabete con la somministrazione di vino dolce). Bouchardat modifica la teoria di Rollo affermando che nei succhi gastrici dei diabetici c´è un enzima che favorisce la trasformazione dell´amido in glucosio, anticipando un processo che dovrebbe avvenire nell´intestino e favorendo il passaggio molto rapido di zucchero nel sangue e nelle urine. Il nome che Bouchardat da a questo enzima è «diastasi glicosurica» che egli estraeva direttamente dal vomito dei diabetici tramite l´uso di varie tecniche e sperimentazioni che l´hanno portato ad affermare come questa presenza fosse patologica e non fisiologica. Pur commettendo anch´egli un errore ricercando la causa del diabete nello stomaco, ha avuto il grandissimo merito di stabilire un vero e proprio regime alimentare per la cura della malattia. La sua dieta era così dettagliata da essere ancora, in parte, valida: pane, alcool, latte, frutta, legumi, miele e vino erano vietati, mentre era ritenuto appropriato il consumo di molta carne, pesce e salumi, infine era consigliato lo svolgimento di molta attività fisica in particolare dopo i pasti. Per concludere l´analisi storica del personaggio non bisogna dimenticare i suoi studi molto accurati sulla retinopatia diabetica. Sempre in questo periodo emerge la figura di Etienne Lancereaux, uno dei primi fautori della teoria pancreatica del diabete. Nello studio della malattia egli procedette utilizzando le autopsie come metodo di indagine eziologica del diabete e la conclusione a cui è pervenuto è stata di fondamentale importanza per tutte le scoperte successive: il  pancreas dei diabetici era distrutto e atrofizzato, e presentava calcoli biancastri di carbonato di calcio. L´altro grande merito che va riconosciuto a questo studioso è quello di aver descritto ed individuato in maniera perfetta la distinzione fra diabete «grasso» e diabete «magro» (che diventeranno rispettivamente “diabete non insulino dipendente” e “diabete insulino dipendente” dopo la scoperta dell’insulina). Un´altra fondamentale nozione sul diabete mellito è stata fornita nel 1887 da Elias Rojas il quale affermava che «il diabete grasso non esiste nel bambino; il diabete è sempre magro», anticipando perciò la distinzione fra diabete mellito di tipo I (diabete insulino dipendente) tipico dell´età infantile e diabete mellito di tipo II (diabete non insulino dipendente) tipico dell´età adulta. Al fisiologo francese Alfonse Baudoin va il merito di aver descritto per primo gli stati patologici di ipoglicemia e iperglicemia nell´uomo.
La fine del XIX secolo segna la scoperta di due delle tre più importanti scoperte della storia del diabete: nel 1869 Paul Langerhans descrive le isole pancreatiche e intorno al 1890 Oscar Minkowski e Joseph Von Mering scoprono la funzione endocrina del pancreas (organo fino a questo momento quasi completamente ignorato).
Agli inizi del 1900 viene compiuta la scoperta fondamentale per la cura del diabete: l’insulina. I medici Frederick Banting e Charles Best nel 1921 isolano questo ormone di natura proteica secreto dalle cellule del pancreas, note come “cellule beta delle isole del Langerhans”. Dopo Banting e Best la ricerca ha compiuto passi da gigante fino alla creazione di preparati di insulina, insuline con effetto ritardato e insuline umane ottenute con la tecnologia del DNA ricombinante grazie alla modificazione genica dei batteri. Scoperta l´insulina è stato successivamente identificato il glucagone, altro enzima prodotto dalle cellule alfa delle isole di Langerhans ad azione opposta rispetto all´ormone prima citato, cioè iperglicemizzante. Anche la terapia della malattia si è notevolmente modificata, a partire da un´unica iniezione giornaliera di insulina lenta (anni quaranta-cinquanta) si è arrivati successivamente alla terapia multi iniettiva che ha dato i maggiori frutti negli anni novanta, garantendo un miglior autocontrollo, grazie all´azione combinata di insulina rapida e lenta. Negli ultimi 10 anni è stata introdotta una vera e propria tecnologia capace di simulare l´azione naturale del pancreas, cioè i modernissimi microinfusori di insulina.

SCUOLE DI FORMAZIONE, UNIVERSITA’ E CORSI DI AGGIORNAMENTO

Il percorso formativo prevede il conseguimento della laurea in Medicina Generale, con indirizzo diabetologico ed endocrino-metabolico della durata di cinque anni e il diploma di Abilitazione all’esercizio della professione. Questi sono i requisiti fondamentali per essere ammessi alla Scuola di Specializzazione in Endocrinologia e malattie del ricambio, della durata di cinque anni accademici.
Lo specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio deve avere maturato conoscenze teoriche, scientifiche e professionali nel campo della fisiopatologia e clinica delle malattie del sistema endocrino. Gli ambiti di specifica competenza sono la fisiopatologia endocrina, la semiotica funzionale e strumentale endocrino-metabolica; la metodologia clinica e la terapia in endocrinologia, diabetologia e andrologia; la fisiopatologia e clinica endocrina della riproduzione umana, dell´accrescimento e delle attività motorie; la fisiopatologia e clinica del ricambio con particolare riguardo all´obesità e al metabolismo glucidico, lipidico ed elettrolitico.
Le specializzazioni sono attive nella facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Verona, di Brescia, di Cagliari, di Messina, di Bologna, di Pescara, di Catanzaro, di Roma (La Sapienza, Università Campus Bio-Medico, Sacro Cuore), di Padova, di Catania, delle Marche (Università Politecnica), di Milano (San Raffaele e Fondazione Policlinico IRCCS), di Napoli (Federico II), di Chieti e Pescara, di Torino, di Bari.
Un dottorato molto interessante è quello promosso dalla Fondazione Policlinico IRCCS  di Milano in Scienze Endocrinologiche e metaboliche.
L’offerta formativa poi si arricchisce con Master in Diabetologia come quello di II livello proposto da La Sapienza (Roma), della durata di un anno, oppure il Master di II Livello in Diabete Obesità e Sindrome Metabolica, dell’Università di Milano, o ancora quello dell’università degli Studi di Catanzaro, per accedere ai quali è necessario possedere la Laurea in Medicina Generale.
Altrettanto valido è il conseguimento del titolo di specialista in medicina interna e diabetologia. La conoscenza della dietologia è fondamentale soprattutto al momento della terapia. Infatti il trattamento terapeutico del diabete prevede la sinergia tra la terapia farmacologica e quella nutrizionale. È fondamentale guidare il paziente nell’introito dei carboidrati perché impari ad assumerli nel modo corretto e nei momenti giusti della giornata. La patologia stessa infatti impedisce la corretta gestione degli zuccheri.

PRESENZA IN ITALIA ED EFFICACIA SULLA POPOLAZIONE

Secondo i dati riportati nell’annuario statistico Istat 2009, la prevalenza di diabete mellito è cresciuta al 4,8% (era 4,0% nel 2003 e 4,5% nel 2006), per un totale di circa 3 milioni di persone ammalate. Valori tendenzialmente più elevati si registrano tra le donne (5%) e nel Sud (5,5%). Oltre il 90% dei casi è riferibile al diabete di tipo 2, caratteristico dell’età adulta, mentre la quota rimanente riguarda la forma infantile-giovanile (tipo 1).
La mortalità ha mostrato negli ultimi anni un andamento altalenante, intorno al valore di 3,4 per 100.000 tra i maschi e 3,2 tra le femmine nel 2003. Sul versante dei costi, l’impatto del diabete è stato stimato pari al 6,7% dell’intera spesa sanitaria nazionale, pubblica e privata.
A fronte della consistenza dei numeri e del carico sanitario e sociale che può essere imputato alla malattia e alle sue complicanze, si torna a discutere sull’opportunità di realizzare campagne di screening a livello di popolazione, volte a diagnosticare precocemente il diabete (di tipo 2) negli adulti e a ridurre gli esiti negativi associati alla sua progressione.
La prevalenza del Diabete Mellito di tipo 2 (DMT2) è in continua crescita a causa dell´aumento dell´obesità e della sedentarietà. La malattia nei primi anni è spesso asintomatica e non di rado la diagnosi viene posta in occasione di ricoveri per complicanze già in atto. Si stima che la prevalenza della malattia sia intorno al 3-4% della popolazione generale, ma va sottolineato che tale percentuale aumenta progressivamente con l´avanzare dell´età, divenendo circa il 12% dopo i 65 anni. Inoltre indagini mirate con curva da carico di glucosio forniscono percentuali sensibilmente più elevate, del 6-11%, tali quindi da indurre a considerare il DMT2 misconosciuto un fenomeno meritevole di nuove e impegnative strategie di diagnosi e di controllo. Poiché il DMT2 si associa assai frequentemente ad altre condizioni quali obesità, ipertensione, dislipidemia, che concorrono a definire la cosiddetta “sindrome metabolica” (correlata a sua volta ad un marcato incremento del rischio cardiovascolare), la sua presenza va sempre cercata nelle persone che presentino una o più componenti di tale sindrome. La malattia diabetica è particolarmente rilevante per le complicanze a carico di numerosi organi e apparati (complicanze micro e macrovascolari).
L´impatto sulla qualità della vita dei pazienti e, in generale, sulla salute pubblica è enorme: i diabetici hanno un rischio di andare incontro a malattie cardiovascolari da 2 a 4 volte superiore rispetto alla popolazione non diabetica il tasso di malformazioni congenite nei figli di donne diabetiche può raggiungere il 10% e si può avere mortalità fetale nel 3-5% delle gravidanze il diabete è la principale causa di cecità nella popolazione con età compresa tra 25 e 74 anni, è la principale causa di malattie renali che richiedono dialisi è la principale causa di amputazione degli arti inferiori a causa di problemi neurologici e vascolari periferici.
Ogni anno, ci sono in Italia più di 70 mila ricoveri per diabete, causati principalmente da complicanze quali ictus cerebrale e infarto del miocardio, retinopatia diabetica, insufficienza renale e amputazioni degli arti inferiori. La cura del paziente con diabete ha come obiettivi fondamentali il mantenimento dello stato di salute fisica, psicologica e sociale del paziente. Questi obiettivi sono perseguibili e raggiungibili attraverso la prevenzione primaria, ove possibile, la diagnosi precoce, una corretta terapia che comprenda l´educazione e la responsabilizzazione del paziente con diabete, la prevenzione delle complicanze acute e croniche della malattia, che sono le maggiori determinanti dello scadimento della qualità di vita del paziente con diabete e che rappresentano le principali cause degli elevati costi economici e sociali della malattia stessa. Per il raggiungimento di questi obiettivi è fondamentale l´impegno tra Specialisti Diabetologi e Medici di Medicina Generale ad interagire tra loro, con altre componenti professionali e con le Associazioni di auto-aiuto dei pazienti con diabete, al fine di assicurare un´assistenza unitaria, integrata, continuativa che raggiunga elevata efficienza ed efficacia degli interventi e che, al contempo, miri alla razionalizzazione della spesa sanitaria nel settore specifico.
A partire dal 1° marzo 2009 è istituito il Registro Diabete, quale strumento per il monitoraggio epidemiologico del diabete mellito e delle sue complicanze. Il Registro è stato  attivato a Bolzano, per le rispettive fasce d´età, quale strumento per la ricerca epidemiologica, l´analisi dell´incidenza e della prevalenza del diabete e delle sue complicanze croniche, i costi diretti e indiretti, l´analisi del diabete in gravidanza, la presenza di altri fattori di rischio per le malattie cardiovascolari.
Il Registro si pone come elemento centrale; i servizi di diabetologia concorrono a formare una base di dati in continua espansione, il Registro appunto, che serve a collezionare da un lato i datasets minimi necessari per le analisi periodiche, dall´altro sarà sfruttato per favorire l´interscambio continuo di informazioni. Le funzioni fondamentali che il Registro del diabete svolge sono: la definizione e l´aggiornamento delle informazioni da raccogliere, la promozione della raccolta dei dati e la verifica della completezza e della qualità degli stessi, la definizione e l´aggiornamento degli indicatori e dei rapporti periodici, l´analisi statistico-epidemiologica e la predisposizione e pubblicazione dei rapporti periodici.
Il Registro Diabete è gestito in via esclusiva dall´Osservatorio epidemiologico, che garantisce la più ampia completezza possibile della base di dati. Supervisiona il funzionamento e l´estensione del sistema valutando la intellegibilità e la corretta applicazione delle procedure di reporting automatizzato verso i medici.

TRATTATO DESCRITTIVO

La forma del diabete più nota a cui si fa spesso riferimento è il cosiddetto diabete mellito. Tuttavia esiste anche una patologia definita diabete insipido, che ha in comune con la prima solo l’abbondante produzione di urina.
Alla base dell’insorgenza del diabete mellito vi è una serie di alterazioni del metabolismo che portano all’accumulo di glucosio nel sangue, condizione definita iperglicemia; meno frequenti sono i casi in cui disturbi metabolici portano a ipoglicemia, ossia una concentrazione di questo zucchero (glicemia) inferiore rispetto alla norma.

Il metabolismo del glucosio

La fonte di energia più importante per l’organismo umano è il glucosio, zucchero che viene assunto mediante l’alimentazione e che viene in parte utilizzato, in parte immagazzinato in specifici distretti corporei sotto forma di glicogeno.
Perché il glucosio possa entrare nelle cellule (soprattutto in quelle muscolari, nelle cellule del cuore, nella ghiandola mammaria e nelle cellule adipose) per essere usato o convertito in glicogeno è necessaria l’azione dell’insulina, un ormone proteico prodotto dalle isole di Langerhans, costituite da gruppi delle cosiddette cellule beta del pancreas. Per questo motivo la  mancata produzione di insulina (deficit da insulina)  o l’insensibilità alla sua azione (insulino – resistenza) sono  i due meccanismi principali che portano allo sviluppo del diabete mellito. Allo stesso modo, se l’insulina prodotta è difettosa il glucosio non può essere utilizzato correttamente dall’organismo e, quindi, si accumula nel sangue. In particolare quando le concentrazioni di glucosio a digiuno sono superiori a 126 mg/dl si parla di diabete mellito, mentre valori compresi tra 101 e 125 mg/dl costituiscono un fattore di rischio per la comparsa di questa patologia e vengono definiti alterata glicemia a digiuno. Solo quando la glicemia supera i 180-200 mg/dl il glucosio inizia a passare nelle urine.
Quando i livelli di glicemia sono elevati, come, ad esempio, dopo un pasto, le cellule beta sono stimolate a produrre l’ormone; viceversa, in condizioni di ipoglicemia la sintesi di insulina è inibita. Questo ormone regola la glicemia legandosi a un recettore localizzato sulla membrana delle cellule in cui deve favorire l’ingresso dello zucchero; ciò causa una serie di risposte cellulari. Contemporaneamente si hanno l’attivazione del suo utilizzo (glicolisi), la produzione di glicogeno (glucogenesi) e la sintesi degli stessi acidi grassi. All’attività dell’insulina si contrappone quella del suo antagonista, l’ormone glucagone, prodotto da altre cellule  nelle isole di Langerhans, le cellule alfa.
Se l’insulina non può agire efficacemente sulle cellule bersaglio si parla di resistenza all’insulina. Si pensa che questa situazione sia dovuta ad alterazioni delle reazioni scatenate dall’insulina dopo l’interazione con il suo recettore e che si coinvolto il gene IRS-1, necessario per la sintesi delle proteine IRS, che partecipano alla regolazione dell’ingresso del glucosio nelle cellule. Nei casi in cui si verifica un insulino-resistenza  si ha un aumento iniziale della produzione dell’ormone da parte del pancreas (iperinsulinemia) per un fenomeno di compensazione. Tuttavia la patologia tende ad aggravarsi, perché questo meccanismo risulta insufficiente. Inoltre le cellule beta iniziano a morire e subentrano fenomeni di dislipidemia (tossicità dei lipidi) e iperglicemia cronica.
A questo quadro si aggiunge il fatto che si sviluppa una condizione di digiuno cronico anche quando il paziente si nutre normalmente. Tale situazione è dovuta all’accumulo di corpi chetonici, che in condizioni in cui il glucosio è utilizzato correttamente e, quindi, l’organismo è ben nutrito sono presenti nel sangue solo in piccole quantità. Vengono, così, attivate la glicogenolisi, cioè l’utilizzo delle riserve di glicogeno e la gluconeogenesi.

I diversi tipi di diabete

Un primo tentativo di classificazione delle differenti tipologie di diabete si basa sull’età di insorgenza: si parla, perciò, di diabete giovanile e di diabete dell’età matura. Anche  la suddivisione della progressione della malattia in quattro fasi: diabete potenziale, diabete latente, diabete asintomatico e diabete clinico, può essere un buon criterio di distinzione. Attualmente la classificazione riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale dalla Sanità e della Società Europea per lo studio del Diabete si basa sull’origine immunologica della patologia e si parla di diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2.
Il diabete di tipo 1 rappresenta il 5-10%  dei casi ed è caratterizzato dalla distruzione delle cellule beta e dunque da una deficienza di insulina. In particolare, nel tipo 1 A la morte di queste cellule è dovuta a una reazione immunitaria anomala, mentre il tipo 1 B, più frequente nei giovani africani e asiatici, non ha cause note. Esiste una predisposizione genetica allo sviluppo di questa malattia, che prevede una fase iniziale, detta “luna di miele”, durante la quale la carenza di insulina è compensata dalla sua iperproduzione da  parte delle cellule beta. Dopo qualche mese i sintomi ricompaiono e corrispondono allo stato di diabete definitivo. Si verificano iperglicemia, difficoltà digestive, elevata produzione di urina, sete intensa, polifagia paradossa (il paziente mangia molto, ma dimagrisce), chetoacidosi  (accumulo di corpi chetonici), perdita di peso, nausea, vomito, senso di fatica e irritabilità, astenia (affaticamento muscolare), cefalea e ulcere cutanee.
Il diabete di tipo 2, spesso asintomatico, è dovuto a cause decisamente eterogenee: le basi genetiche sono più solide rispetto a quelle del diabete di tipo 1, ed i fattori ambientali concorrono allo sviluppo della malattia; inoltre questa tipologia non ha cause immunitarie. Questa forma di diabete corrisponde al 90-95% dei casi e si sviluppa per alterazione della secrezione di insulina e insulino-resistenza. Anche in questo caso si pensa che ci possa essere una fase prediabetica in cui la carenza dell’ormone è bilanciata da iperinsulinemia. L’ esistenza di una base genetica è suggerita dal fatto che è molto frequente che fratelli gemelli sviluppino entrambi la malattia. Altri fattori di rischio sono rappresentati dall’obesità (che concorre all’insulino-resistenza), da un´attività fisica scarsa o del tutto assente, dall’ipertensione, da livelli di colesterolo HDL inferiore a 35 mg/dl, da concentrazioni di trigliceridi superiori a 25 mg/dl e da disturbi del sonno. Anche l´invecchiamento, responsabile di una riduzione fisiologica della sensibilità dei tessuti all’insulina, favorisce la comparsa del diabete.
Esistono anche forme di diabete meno note e sono dovute a numerosi fattori, come la mutazione di geni che controllano la funzionalità delle cellule beta, difetti dell’azione dell’insulina, malattie del pancreas (fibrosi cistica, pancreatite, tumori ed emocromatosi) e delle ghiandole endocrine (come l’ipertiroidismo), farmaci o infezioni (ad esempio la rosolia congenita). Infine esistono delle patologie predisponenti, come la sindrome dell’uomo rigido (rara neuropatologia caratterizzata da rigidità del torace e degli arti), la sindrome di Down, Turner e Klinefelter, in cui è alterato il numero dei cromosomi e la corea di Huntington, la sindrome di Laurence-Moon-Bield e la porfiria, tutte malattie a base genetica. Infine, il diabete mellito gestazionale colpisce i media il 7% delle donne incinte; pur risolvendosi al termine della gravidanza, può incidere sulla salute del neonato, con fenomeni quali macrosomia (crescita eccessiva) alla nascita, non supportata metabolicamente, ittero, e sindrome da distress respiratorio. Un´ulteriore insidia di questo particolare tipo di diabete è la possibilità che possa portare a uno sviluppo successivo (anche dopo anni) del diabete di tipo 2.

Le complicazioni del diabete

Oltre ai problemi relativi allo scorretto utilizzo di glucosio, i pazienti affetti da diabete possono incorrere in una serie di altre complicazioni. Fra esse, la chetoacidosi diabetica è tipica del diabete mellito di tipo 1 ed è scatenata da forte stress. In condizioni di digiuno e di eccesso di glucagone, i trigliceridi, normalmente immagazzinati in particolari lipoproteine con funzione di trasporto, passano nel sangue sotto forma di corpi chetonici. Quando la chetoacidosi non è presente, condizione tipica dei pazienti anziani affetti da diabete mellito di tipo 2, si può verificare uno stato confusionale, che potrebbe arrivare al coma.

Fra le complicazioni a lungo termine c’è la macroangiopatia diabetica, cioè la tendenza a sviluppare più precocemente più intensamente fenomeni di aterosclerosi, in quanto l’eccesso di glucosio nel sangue favorisce la progressione delle placche aterosclerotiche. Ciò può causare la comparsa di angina pectoris, ictus e infarto del miocardio. L’ulcera diabetica corrisponde, invece, allo sviluppo di piaghe agli arti inferiori. Si riscontrano, inoltre, casi di malattia di Dupuytren, sindrome del tunnel carpale e glaucoma. Fa parte di questo gruppo di complicanze anche il cosiddetto piede diabetico, che può essere neuropatico, ossia con funzionalità compromessa, ischemico (con anomalie di tipo strutturale) o entrambi (neuroischemico). La microangiopatia diabetica è invece la definizione utilizzata per  identificare la nefropatia diabetica, che interessa il r