E’ una branca della scienza della nutrizione che studia gli effetti degli alimenti sui processi metabolici dell´organismo, considerandone anche le implicazioni digestive. Inoltre ricerca le razioni alimentari più idonee all´individuo, tenuto conto delle sue caratteristiche fisiologiche e/o patologiche, al fine di assicurare il miglior stato di salute possibile. Il fine ultimo di questa pratica è la formulazione di un regime alimentare/stile di vita adatto alla situazione (patologica e non) dell´individuo.

CENNI  STORICI

La storia dell´alimentazione e della gastronomia ha pari dignità di quella di molte scienze e scoperte: senza l´arrivo della patata in Europa, ad esempio, le carestie avrebbero decimato le popolazioni. E non solo: ancora oggi intorno ad un buon pranzo si concludono affari. Le migrazioni dei popoli hanno portato con sé e diffuso civiltà e culture che sono filtrate, quasi sempre, attraverso il cibo. Quello che oggi mangiamo e come lo prepariamo è, dunque, il risultato di una evoluzione culturale.
I greci ritenevano che il momento del pasto fosse occasione di nutrimento non solo del corpo, ma anche dello spirito. La loro moderazione, però non impedì loro di inoltrarsi nel campo delle sperimentazioni e delle novità. Cominciarono a mescolare diverse sostanze e cibi, cercando di compensare sapori più forti. I greci introdussero l´uso dell´olio e dell´aceto, ritenuto curativo. Per attenuare o esaltare i sapori usavano aromi e miele, mentre facevano capolino alcune spezie, provenienti dal Medio Oriente e dall´Africa. Tra i cereali spiccava l´uso dell´orzo, quasi sempre bollito, ma con il passare del tempo la coltivazione del frumento portò alla produzione del pane a pasta lievitata.
Agli inizi della civiltà di Roma la cucina degli antichi romani era certamente frugale. Non bisogna dimenticare che la civiltà romana si sviluppò da un piccolo villaggio di agricoltori. Furono i contatti con la Magna Grecia a far iniziare l´evoluzione di nuove coltivazioni e quindi di nuove preparazioni. All´inizio erano soprattutto polente a base di cereali, primi tra tutti l´orzo, il miglio, e poi il farro, la base dell´alimentazione. Il sale era usato pochissimo perché bene assai prezioso e costoso e a volte il cereale veniva fatto bollire nell´acqua di mare. La carne era poca, soprattutto di maiale e si preparava nei giorni di festa. Le polente potevano essere arricchite con formaggi, miele oppure uova. Progressivamente, con le conquiste e la possibilità di conoscere nuovi prodotti dell´agricoltura, nuove spezie e nuove abitudini alimentari, la cucina romana si trasformò con una notevole abbondanza di ingredienti e di preparazioni. Dietologi veri e propri tra i Romani non esistevano, ma ben presto ci si rese conto che gli eccessi alimentari erano fonte di un gran numero di malattie. Così, accanto ai primi trattati di gastronomia, nacquero alcuni rudimentali trattati di dietetica, i cui principi rimasero in voga fino al Medioevo, ed erano ben giustificati, se si pensa che i banchetti del periodo imperiale potevano annoverare fino a cento e più portate. Due le caratteristiche principali nelle preparazioni dei Romani: l´introduzione delle salse, che avevano il compito di “coprire” il gusto dei cibi mal conservati, ma che in seguito divennero elementi distintivi delle ricette, e la cottura dei pesci che venivano, infatti, bolliti prima di essere fritti o arrostiti. Lentamente il pane sostituì le polente di cereali. Dal pane alla pasticceria, anche se primitiva, il passo fu breve: bastò aggiungere miele, uvetta e noci e nocciole.
Quali erano i cibi più ricercati tra gli antichi? Come ai giorni nostri, era la scarsità a decretare il successo di un particolare alimento. Così anche tra i Greci e i Romani, i tartufi e i funghi erano prelibatezza riservata ai ricchi. Alcune verdure, come gli asparagi o i fichi, erano oggetto di alcune leggi speciali. I Romani impararono le tecniche della conservazione delle carni e della produzione dei salumi, che poiché erano lavorati con il sale e le spezie, beni preziosi, erano una vera prelibatezza. Ostriche e aragoste erano i più apprezzati tra i prodotti ittici. E, a proposito di salse, una squisitezza che compare in tutti i trattati di cucina era il garum o liquamen. Era un condimento ricavato da interiora di pesce impastate con sale e con erbe odorose. Lasciamo alla fantasia del lettore immaginare quali caratteristiche di gusto e profumo avesse.
Con il declino dell´Impero romano, le invasioni e i saccheggi dei barbari, la gastronomia segna una battuta d´arresto. I contatti con le popolazioni barbare, nomadi e guerrieri, non portò alcuna novità, ma anzi impoverì la tradizione gastronomica romana. Solo con Carlo Magno, lo sviluppo del monachesimo e dopo l´anno Mille, con la rinascita delle città, ritornò un certo gusto per la buona tavola. Il Medioevo è il periodo dei pasti a base dei pochi cereali che i barbari non saccheggiavano, delle verdure provenienti da un piccolo orto; in questo periodo le polente dei romani si sostituirono con zuppe di legumi e cereali. Dopo il 1000 arrivano nuove coltivazioni che sono le basi dei successivi cambiamenti: la canna di zucchero e il riso, entrambi giunti in Italia grazie agli arabi. Nel Medioevo si incomincia a produrre il burro e il formaggio secco, antenato del nostro parmigiano.
Sempre il Medioevo fu il periodo in cui si cominciò ad utilizzare ogni parte del maiale, che divenne, per facilità di allevamento, una delle fonti principali di carne e prodotti di salumeria, soprattutto prosciutti e salsicce. Questo ovviamente dove non era presente la dominazione araba che, in conformità alle leggi del Corano, proibiva il consumo della carne di maiale. Durante il periodo di permanenza in Sicilia, gli arabi influenzarono moltissimo la preparazione dei cibi. Essi riducevano in polvere le spezie che venivano mescolate alle carni e ai pesci. Le preparazioni dei dolci erano celebri e assai apprezzate, ancora oggi da esse derivano il marzapane e il torrone.
La cucina moderna affonda le sue radici nel Quattrocento e nel Cinquecento per le novità che arrivano dal Nuovo Mondo e che cambiano e arricchiscono le tradizioni popolari. Nasce in questo periodo il gusto per la presentazione dei piatti. Compaiono le minestre preparate con brodo o latte, riso e cereali, mentre le carni più pregiate sono selvaggina e pollame. E´ di questo secolo l´abitudine di avvolgere le carni in croste di pane. Inoltre alla fine del Quattrocento compaiono le paste “all´italiana”. Maccheroni e vermicelli conditi con uvette oppure con burro e sale, e le prime paste ripiene, antenate dei tortellini. Patata, mais, fagioli, tacchino, cacao dalle Americhe, caffè e tè dall´Oriente: sono queste le novità che modificheranno le abitudini in cucina. Arrivati in Europa questi alimenti ebbero bisogno di parecchio tempo  prima di affermarsi. La patata, ad esempio era destinata all´alimentazione animale e solo nel Settecento fu scoperta come cibo. Lo stesso discorso fu per il mais che cominciò ad essere consumato solo dopo le numerose carestie e pestilenze, e che avevano sottoforma di polenta divenne il re sulle tavole dei contadini. Per quanto riguarda il cacao e la bevanda da esso derivata, la cioccolata, essi conobbero il massimo splendore dopo il Seicento, quando divenne bevanda di re e principesse.
Il Seicento fu il secolo di transizione dalla grande cucina italiana alla grande cucina francese. Si apre l´epoca dei cuochi e dei grandi architetti di banchetti. Niente più condimenti che coprono il sapore delle vivande, poche spezie a favore delle erbe aromatiche e del limone. La carne viene cotta molte ore fino a quando non si stacca dall´osso. Le vivande delle classi più umili sono fagioli, polenta di mais, pane casareccio farcito con formaggio. Pochi i condimenti, olio al sud e grasso di maiale al nord, burro per i nobili.
Nel Settecento si scoprono le salse: la bèchamel e la mayonnaise. Entra il vino nella cottura delle carni. Nasce il ragù e la gelatina. Entra il cavolo nella tavola dei poveri. Il secolo dei grandi viaggiatori pone a contatto diverse cucine.
Le minestre sono divise, dai cuochi francesi, in chiare (brodo), più spesse (minestre cremose) e vellutate. Sarà soprattutto la scoperta di nuovi metodi per la conservazione dei cibi a mutare le ricette: a partire dalla metà dell´Ottocento nasce una vera e propria industria per la refrigerazione. Nasce la margarina e la produzione su scala industriale del burro. Si unifica la cucina dei nobili e quella della borghesia. Nell´Ottocento arriva anche lo yogurt.
Alla fine degli anni cinquanta un gruppo di cuochi francesi inventarono una sorta di cucina basata su nuove combinazioni di piccole quantità di cibi presentati artisticamente in piatti di dimensioni superiori al normale,  guarniti e addobbati dagli stessi ingredienti delle ricette. E´ la Nouvelle Cuisine, che oggi conosce un momento di difficoltà: troppi improvvisati e approssimativi imitatori ne hanno decretato un lento declino, e le preparazioni raffinate restano appannaggio esclusivo di pochi, selezionati e molto costosi templi del buon gusto.
Dall´esigenza di cucinare in modo rapido, oggi le ricette sono tornate ad essere più semplici: l´attenzione si rivolge sempre più alla qualità dei cibi, con una riscoperta dei sapori semplici e una strizzatina d´occhio alle nuove cucine etniche. La riscoperta della dieta mediterranea, tuttora considerata ottimale per il gusto e per la salute, i principi della dietetica e delle combinazioni alimentari, sono i motivi conduttori della cucina che si affaccia al Duemila.

SCUOLE DI FORMAZIONE, UNIVERSITA’ E CORSI DI AGGIORNAMENTO

La professione di nutrizionista può essere svolta da medici, biologi e dietisti. Sia i medici che i biologi, per il fatto che la nutrizione è spesso trascurata dai tradizionali piani di studio dei rispettivi corsi di laurea, seguono specifiche specializzazioni o master. Anche farmacisti, chimici e tecnologi alimentari possono interessarsi alla nutrizione, seguendo master e specializzazioni, ma la legge non li abilita né alla prescrizione né all´elaborazione delle diete.
Secondo le normative vigenti (profilo professionale D.M. 744 del 1994) il dietista è l´operatore sanitario competente per tutte le attività finalizzate alla corretta applicazione dell´alimentazione e della nutrizione, ivi compresi gli aspetti educativi e di collaborazione all´attuazione delle politiche alimentari nel rispetto della normativa vigente.
Il dietista, oggi, in Italia è una figura professionale conforme alle direttive della CEE. Per diventare Dietista bisogna conseguire la laurea di 1° livello in Dietista.
I corsi di laurea sono a numero chiuso. L’ accesso è possibile dopo il diploma di Scuola Media Secondaria Superiore superiore o titolo estero equipollente.
L’accesso è a numero programmato su base nazionale ed è previsto il superamento di un test di ingresso con domande a risposta multipla su argomenti di Clinica, Fisica, Biologica, Matematica, logica e cultura generale. Il Corso è di tipo teorico – pratico, ha una durata di tre anni e prevede l’obbligo della frequenza. L’esame finale ha valore di esame di Stato Abilitante all’esercizio della professione.

PRESENZA IN ITALIA ED EFFICACIA SULLA POPOLAZIONE

Un buon nutrizionista consiglia sempre, al di fuori di casi specifici, una dieta sana e bilanciata, che possa far ruotare al meglio tutte le pietanze: verdura, carne, pesce, in maniera tale da poter assimilare le sostanze di cui il nostro organismo ha bisogno per non incorrere in problemi di sorta. Eppure, troppo spesso si esagera,  eccedendo in un ambito culinario, se ne tralascia un altro che, invece, potrebbe essere un prezioso elemento della nostra dieta. Questa situazione accade troppo spesso sulle tavole degli italiani, come testimoniano analisi mediche in materia. Mangiamo il doppio della carne che serve al nostro fabbisogno, mentre invece basterebbe una sola volta alla settimana. Per sostituirla bisogna lasciare da parte l’hamburger, e preferirgli un paio di fette di prosciutto, tra i migliori prodotti della nostra nazione. Nel dimenticatoio, invece, finiscono i legumi. Un italiano su tre li consuma come dovrebbe, soprattutto a causa dei ritmi frenetici che la vita di oggi impone: paragonare i legumi classici ai surgelati, in termini di tempo rappresenta una battaglia già persa per i nutrizionisti. Purtroppo. Stessa statistica, un italiano su tre, per quanto riguarda il pesce. Ma servirebbe consumare anche più latte, meno formaggi, e soprattutto bere tanta acqua. Un consiglio comune eppure seguito ancora da pochi. L’importante è conoscere la struttura del pasto della dieta mediterranea che deve contenere sempre cereali, frutta e ortaggi; il resto serve per “accompagnare” perché la completezza non può essere data da un unico alimento, ma da tanti combinati insieme con il giusto equilibrio.

La dieta mediterranea

Un italiano su quattro assume la maggior parte del suo apporto calorico da alimenti non mediterranei. Bambini e adolescenti rappresentano in assoluto la fascia di età in cui l´adesione alla dieta mediterranea è minore, seguiti dalle donne che, seppure di misura, adottano uno stile alimentare più mediterraneo rispetto a quello maschile, mentre i più virtuosi sono gli “over-60”. Paradossalmente, le regioni del Sud appaiono quelle dove la dieta mediterranea è meno seguita; peggio di loro fa solo il Nord Ovest. Il Nord Est ed il Centro rappresentano invece, la macro-area geografica in cui l´aderenza alla dieta mediterranea è maggiore, seguita da Sud ed Isole. Gli alimenti mediterranei sono i seguenti: pasta, riso, pane, legumi, tuberi (patate), verdure ed ortaggi, frutta fresca, frutta secca, altri semi, olio di oliva, vino, pesce.  I non mediterranei invece sono i seguenti: prodotti da forno diversi dal pane: merendine, dolci, brioches, biscotti, focacce e pizzette come snack (esclusa la pizza come piatto unico).
Nel nostro Paese si registra un progressivo abbandono delle sane abitudini alimentari della nostra tradizione. Eppure, l´adozione di uno stile alimentare di tipo mediterraneo rappresenta uno dei maggiori presidi per la riduzione di patologie cardiovascolari, cronico-degenerative e neoplastiche. Sono ormai numerosi gli studi scientifici che provano come l´assunzione dei principali alimenti costituenti la dieta mediterranea ritardi l´invecchiamento e si associ a una ridotta prevalenza di malattie cardiovascolari, ictus, malattie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson) e cancro.

TRATTATO DESCRITTIVO

La dietologia è la scienza che si occupa della cura delle malattie tramite un regime alimentare controllato ed appropriato. La dieta quindi, non è semplicemente “mangiare un po´ meno per perdere qualche chilo”, ma  è un atto medico terapeutico, e come tale deve essere rigorosamente controllato e strettamente personalizzato.
Nelle malattie renali, ad esempio, a seconda della funzionalità renale residua, è indica una dieta ricca in calorie, ma a diversi livelli di restrizione proteica. Nella prescrizione di una dieta appropriata, quindi, il medico dovrà tenere conto della patologia del paziente, dell´età, del sesso, dei fabbisogni nutrizionali minimi, della composizione corporea e dovrà considerare i numerosi nutrienti che fornisce con la dieta al paziente.
Le sostanze contenute negli alimenti sono infatti numerose, ricordiamo solo le principali:
  • glicidi
  • protidi
  • lipidi (colesterolo, trigliceridi)
  • aminoacidi a catena ramificata
  • basi puriniche
  • acidi grassi polinsaturi
  • acidi grassi saturi
  • Sali minerali (sodio, potassio, calcio, ferro, magnesio, zinco ecc. .)
  • oligoelementi
  • vitamine (A, B1, B2, B6, B12, PP, C, D, ecc.)
  • fibre.

La persona obesa

La dipendenza dal cibo è una caratteristica fondamentale del profilo dell’obeso. E’ quasi impossibile per gli obesi mangiare poco, assaggiare. La persona obesa tende a mangiare oltre modo senza controllo o porsi dei limiti, non sopporta dover interrompere il flusso dei suoi pasti sovraccarichi, altrimenti resta con il pensiero fisso di dover mangiare.
La sensazione di sazietà non arriva neanche dopo pasti abbondanti, lo stimolo della fame è sempre presente. Questo aspetto della dipendenza dal cibo può riguardare anche alcuni alimenti specifici. Vi sono persone che preferiscono abbuffarsi di dolci e non riescono a farne a meno. La dipendenza dalla cioccolata ne è un esempio.
La dipendenza degli obesi dal cibo si avvicina molto a quella di chi dipende dall’alcol. Entrambi hanno in comune una difficoltà di relazione con sé stessi e con gli altri.
Uno degli aspetti in comune riguarda proprio l’incapacità a gestire il senso di rabbia e uno scarso autocontrollo. Chi abusa del cibo attua un meccanismo inconsapevole di “anestesia” dei sentimenti e in modo particolare dei sentimenti di rabbia, quindi delle emozioni negative. La dipendenza dal cibo è anche più complicata da controllare rispetto a quella da alcol, fumo di sigarette o droghe. Non si può vivere senza cibo, mentre si potrebbe vivere senza fumare, bere alcol o drogarsi, anzi si vivrebbe anche meglio!
Come riuscire a smettere di dipendere dal cibo è per l’obeso un vero dilemma. Molti preferiscono dare un taglio netto alla loro dipendenza con una dieta estrema e drastica piuttosto che rinunciare parzialmente e gradualmente al cibo. L’astinenza completa è sicuramente meno difficile dell’abbandono parziale. Ciò dipende dal fatto che anche un solo assaggio di quel particolare piatto significherebbe per l’obeso desiderarne sempre più e più e non vederne mai la fine. Questo bisogno di saziarsi proviene da quel concetto di “tutto bianco o tutto nero” tipico della persona obesa che non conosce mezze misure. Il pensiero di doversi mettere a dieta viene sempre rimandato al “giorno dopo”. Questo atteggiamento asseconda la voglia e il desiderio di non smettere mai con l’ultimo morso. Come per tutte le altre dipendenze anche quella dal cibo si manifesta con dei sintomi che la persona accusa al momento della “fame frustrata”, della sensazione di fame e di poca sazietà.
I sintomi sono di natura psicologica e fisica: digestivi, respiratori, renali, circolatori fino ad investire la sfera emotiva manifestandosi sotto forma di altri disturbi. Vi possono essere: costipazione, diarrea, bruciore di stomaco, indigestione, spasmi, crampi, gonfiori, ritenzione idrica, incontinenza, battito irregolare, tachicardia, dolori al petto, respiro corto, pruriti, come anche depressione, ansia, irritabilità, affaticamento, insonnia, agitazione, senso di frustrazione e disagio, incubi, attacchi di panico improvvisi, fobie mai riscontrate prima ecc. Molti di questi sintomi hanno a che fare con il senso di deprivazione del cibo che si traduce in deprivazione emotiva. Ma è importante comprendere la natura del problema che è alla base della ricerca del cibo come “cura” di carenze emotive o affettive: autostima, amore, accettazione. Questi bisogni non possono essere soddisfatti in alcun modo dal cibo. Il meccanismo inconscio che rende il cibo protagonista e rimedio delle problematiche individuali porta all’eccesso nella misura in cui la carenza persiste e perciò anche il senso di inadeguatezza che spinge la ricerca di cibo a farsi sempre più ossessiva. Quindi non appena i sintomi dell’astinenza compaiono, l’obeso non riesce ad affrontarli e cede all’inevitabile: a mangiare con bramosia. Soprattutto nelle persone obese vi è un basso livello di tolleranza della frustrazione e dell’ansia. E’ molto difficile per loro trovare sollievo, conforto, soddisfazione nei risultati futuri. Per loro questi risultati che vengono dall’impegno personale di seguire delle regole sono sempre troppo “vaghi”, poco tangibili e perciò non perseguibili nel tempo dalla loro volontà.  La pazienza non è una caratteristica molto comune nelle persone obese. Mangiare è “adesso”, perdere peso è solo una possibilità remota e futura nel tempo. Spesso inoltre nell’obeso vi è la necessità di rimandare la “sofferenza” della privazione per non doverla subire al momento, e questo stato psicologico comporta un rimandare continuamente il problema dell’impegno a mantenere una dieta.
Una descrizione del profilo della persona obesa non sarebbe completo ed esaustivo se non si parlasse anche della condizione di sofferenza mentale, di una condizione neuronale alla base del problema dell’obesità, che spinge alla ricerca smodata di cibo. Inoltre l’obesità porta a maggiori nevrosi. La grassezza dell’obeso diviene anche il ”muro” di grassezza che aumenta tra sé e sé, tra sé e gli altri, ad ogni etto. L’obesità e la grassezza producono sempre un effetto distruttivo sia fisico che psicologico. L’individuo obeso incorre in una degenerazione del sé e anche della visione che ha del sé in relazione al mondo esterno. Ma non si tratta solo di questo, perché l’obeso in realtà rischia anche continuamente di andare incontro a seri problemi di salute, persino alla morte.
L’obeso, come per chi soffre di altre forme di dipendenza, è vittima di un atteggiamento mentale inconscio che agisce senza che lui possa fermarne gli effetti; a questo si deve ascrivere la ricerca spasmodica del cibo come bisogno, ad un meccanismo di ricerca inconsapevole. Il ricorso al cibo non è legato infatti ad un reale senso di appetito, ma ad una spinta inconsapevole a mangiare senza misura quasi per un rituale irrazionale e incontrollabile. Molte persone obese sperimentano la sensazione di esigenza del cibo. Qualcosa li spinge a mangiare, qualcosa di cui non hanno controllo. Altre testimonianze di pazienti sottoposti a cure riportano uno stato di angoscia e paura nel perdere il peso, paura di dimagrire. Questa inconscia paura spinge l’obeso a mangiare per mantenere la propria condizione. E questa è la psicologia dell’obeso. Prendere consapevolezza, divenire consci significa trovare la chiave del problema per potersene poi liberare. Eppure elaborare la convinzione di avere un problema non è semplice, perché questo richiede anche di divenire consapevoli delle proprie paure, ansie, per poterle risolverle. Le persone insicure hanno paura di abbandonare le loro abitudini per qualcosa che non conoscono. Portare allo scoperto queste paure è un primo passo verso il cambiamento, che ha bisogno di una grande motivazione.
Nelle persone obese il cibo gioca un ruolo principale fin dalla prima infanzia. La loro evoluzione è tutta segnata da questo approccio sempre più ossessivo con il cibo. E questo elemento cresce solitamente in seno ad un contesto familiare segnato dall’esagerazione, dalla preoccupazione per il cibo. Il background delle persone obese sembra simile nella maggior parte dei casi: porzioni spropositate di cibo, spuntini fuori orario, disponibilità di dolci di tutte le specie, un continuo incoraggiamento a mangiare come se il cibo fosse la chiave di ogni problema, la soluzione di ogni incomprensione o il premio per qualche successo. Per non parlare poi della convinzione radicata in molti genitori che il sintomo di fame continua sia sinonimo di benessere e che il bambino grasso è bello perché pieno salute. Il bambino, senza neanche esserne consapevole, crescerà con la convinzione che mangiare tanto “fa bene alla salute”, preserverà i ritmi appresi in seno alla famiglia e non li abbandonerà facilmente. Questo atteggiamento mentale conduce all’inevitabile rischio di sviluppare un’obesità psicologica prima ancora che fisica.

DEFINIZIONE DEL SOVRAPPESO E DELL’OBESITA’

Il sovrappeso e l’obesità sono in generale la conseguenza di un’ apporto troppo importante di calorie che il corpo non può bruciare. Si tratta di un problema sempre più frequente per il mondo intero, perché la gente diventa sempre più sedentaria (fa poco esercizio) e si alimenta sempre meno in modo sano.
Si distingue in un primo stadio il sovrappeso e poi nel caso di una presa di peso più importante si parla di obesità.
I medici utilizzano in generale l’Indice di Massa Corporea (IMC), in inglese Body Mass Index (BMI) per misurare l’eccesso di peso di una persona, si tratta di una misura che indica il rapporto fra il peso in kg e la taglia in metri quadrati. (BMI = peso[kg] / taglia2[m2]) che permette di ponderare il peso rispetto alla taglia di un individuo. Questa formula permette al medico di diagnosticare se un individuo ha un peso normale (BMI da 20 a 25), se si trova in sovrappeso o in eccesso di peso (BMI da 25 a 30) o se è considerato come essendo obeso (BMI superiore a 30).  Può ugualmente essere interessante per il medico misurare il giro fianchi, detto anche giro vita.  La misura del giro fianchi permette al medico, in caso di valore elevato, di diagnosticare eventualmente una malattia sempre più frequente chiamata : la sindrome metabolica (miscuglio di malattie come il diabete, l’ipertensione, il colesterolo, l’obesità). Questa misura può dare preziose informazioni sulla salute di un paziente, perché si sa che un eccesso di grassi al livello del cuore può rivelarsi molto pericoloso. Con quest’ ultimo parametro, si capisce meglio che l’obesità è considerata sempre di più dal corpo medicale come una malattia globale che può presentare dei rischi di salute importanti e che un’ approccio sempre più multifattoriale (lavoro in comune con dei medici generali, diabetologi, dietologi, internisti, farmacisti) è raccomandato.
Si dimagrisce quando si introducono meno energie di quante se ne brucino.
Per ottenere questo risultato, si possono seguire due strade: ridurre la quantità di energie introdotte col cibo (è la dieta), oppure aumentare il dispendio calorico giornaliero (è l´attività sportiva). L’aumento delle spese da solo, tuttavia, non ha mai dato dei grandi risultati, perché pare che aumentando le spese si aumentino anche le richieste, e venga più fame.

Ma anche seguire una dieta rigorosa (diminuire le entrate) può essere inutile se si riducono le spese, ossia se si fa una vita più sedentaria. Insomma, il messaggio è: per dimagrire occorre sempre abbinare dieta e sport. Le patologie che si legano all´intervento di un medico specialista in dietologia (che possono andare dal semplice desiderio di riconquistare la linea fino alla soluzione di problemi molto seri ed invalidanti) possono essere collegate sia