Luca e Paolo hanno quasi quarant’anni e lavorano a Roma per una multinazionale di prodotti cosmetici. Durante una pausa, parlano al bar dell´argomento casa:

“Sai Paolo che comincio a rimpiangere le tue parole prima che mi sposassi? Si, quando mi dicevi che uno spazio tutto mio era assolutamente fondamentale per la serenità “mia personale” e quella di mia moglie 2.
“Eh si, caro Luca, spendere 1000 € al mese tra affitto e spese minime, quando i tuoi genitori hanno casa grande può sembrare uno spreco da evitare, ma ti regala l´intimità e la serenità di avere un posto tutto tuo, dove rifugiarti a fine giornata, e nei momenti di difficoltà”.
Uno stralcio di vita, sottratto ad una chiacchierata come tante, in una condizione che nell’Italia di questi tempi non appare nemmeno tanto inusuale, ci consente di introdurre l´argomento casa. La grotta, che nei secoli si fa capanna, tenda, palafitta (nel Neolitico), entrando in questo secolo sotto forma di abitazione monofamiliare e palazzine (condomini), è la base della vita dell’uomo. La casa però non è solo il luogo fisico costruito e abitato dagli uomini. Essa è anche un simbolo spesso utilizzato in psicologia, che associa la casa a qualcosa che va a costituirsi come le fondamenta stesse della vita psichica di un individuo, per cui “essere a casa” equivale a “essere integri a livello psicologico”.
Questo utilizzo metaforico della casa è stato impiegato da Renos K. Papadopoulos per l’analisi e il trattamento dei rifugiati (che in questo periodo diventa attualissimo per la tragedia del terremoto in Abruzzo), che si trovano a essere accomunati, più che da un trauma, dall’abbandono doloroso della propria casa e poi dal tentativo (che spesso diventa disperato) di recuperarla. Secondo Papadopoulos, «la casa non è soltanto un luogo, ma anche il fascio di sentimenti associato ad esso.» Ed essendo, inoltre, il posto dove gli opposti vengono fatti coesistere e dove sono mantenuti in equilibrio, ovvero contenuti, la casa va a definirsi come la matrice stessa della soggettività. L’azione simbolica realizzata dalla casa sulla vita psichica degli individui si riflette anche su quella sociale, andando a rappresentare un costrutto chiave che riunisce, e in parte sovrappone, tre campi: intrapsichico, interpersonale, sociopolitico.
Di conseguenza, quando si perde la casa si perdono o si frammentano anche le sue funzioni organizzatrici e contenitrici e ciò può portare alla frantumazione dei tre livelli: individuale- personale, familiare-coniugale e socio-economico/culturale-politico. E’ questa destrutturazione che nei rifugiati porta, secondo l’analisi di Papadopoulos, al disorientamento nostalgico.
Un’altra funzione importante della casa è quella di fornire una base coerente alla storia delle famiglie. Una storia che non ha valore obiettivo, ma che ordina e rende coerenti tutti i momenti che gli individui hanno vissuto, da quelli peggiori a quelli migliori. In questo modo essi sono resi intellegibili, comprensibili e danno, agli attori di quegli stessi eventi, un senso di continuità e di prevedibilità.
La casa, come tutte le cose, ha una sua storia e mille e più elementi che la compongono. Sfogliando i libri di storia apprendiamo che nel IV secolo a.C. iniziano a diffondersi tipi di case che rispecchiano la formazione della famiglia come nucleo autonomo. Dal Medioevo in poi troviamo tipi di abitazione monolocale; sono addossate l’un l’altra a formare quasi degli isolati.
Adeguandosi all´ambiente sociale e climatico, l’abitazione si sviluppa intorno ad un cortile interno scoperto, dal quale si accede ai vari ambienti. Le zone sono ben distinte: al piano terreno si svolge la vita degli uomini, al piano superiore risiedono le donne e i servi.
Nell’antico Egitto invece compaiono soluzioni di abitazioni collettive in case comuni a terrazze, costruite con mattoni grezzi e paglia: una sorta di veri e propri quartieri come li intendiamo oggi.
Una citazione va fatta per la casa romana, derivata dalla casa greca e da quella etrusca, distribuito intorno ad uno o due cortili (atrium e peristilium) che divideva la parte adibita alla vita privata e quella aperta alla vita pubblica.
Nel Rinascimento, seguendo le tendenze culturali dell’epoca, la casa si configura sul modello di quella romana, con cortili di forma rettangolare o quadrata; la residenza comune si mantiene dì tipo unifamiliare e mista a funzioni commerciali.
Alla fine del XVIII secolo, cominciano a sorgere case plurifamiliari su più piani, in risposta alle richieste di una popolazione urbana in continuo aumento. Con la rivoluzione industriale, sopraggiunge il problema dell’abitabilità per le grandi masse affluite dalla città.
Nel corso dell’Ottocento, si afferma un tipo di abitazione proletaria a Londra: gli “slums”, monolocali tristemente famosi per le scarse condizioni igieniche.
Il problema abitativo nella società di massa viene affrontato nei primi decenni del Novecento dagli architetti del Modernismo. Grazie al cemento armato è possibile costruire abitazioni che variano in rapporto alla necessità. Da qui anche l´interesse per la prefabbricazione, che consente la variabilità degli spazi ma anche l’allestimento veloce. Essa risolve anche, in parte, la richiesta di case a prezzo economico ma spesso si trova a fare i conti con la innegabile incompatibilità ambientale con ecosistemi e paesaggi. Una situazione che al di là dei tempi e le situazioni passate, sembra riflettersi ancora oggi, sommandosi, come giustamente discutevano i due nostri protagonisti al bar, alle problematiche legate allo scarso potere d’acquisto di giovani e meno giovani.