La diagnostica è l’insieme delle tecniche utilizzate per eseguire degli accertamenti riguardanti lo stato di salute del malato.
Il termine diagnosi deriva dal greco “dià”, attraverso e “gnosis”, conoscenza e indica, la procedura attraverso cui un fatto contingente viene ricondotto a un fenomeno noto dopo averne considerato ogni aspetto, effettuando , quindi una classificazione; di conseguenza anche il risultato di questa classificazione prende il nome di diagnosi.
Gli accertamenti possono essere eseguiti direttamente sul paziente (semeiotica) o attraverso l’analisi di dati da egli forniti (anamnesi) e permette di associare lo stato morboso di cui è affetto l’ammalato a una o più patologie. Gli elementi che vengono raccolti sono di tipo clinico, esami di laboratorio e di tipo istopatologico (ossia riguardanti l’aspetto dei tessuti). Al termine dell’esame obiettivo o dell’anamnesi viene formulato un quadro  diagnostico (o clinico).
In base agli organi o agli apparati che vengono sottoposti alla diagnosi è possibile distinguere la diagnostica medica dalla diagnostica chirurgica; un’altra classificazione di basa, invece, sul metodo di rilevamento: è così, possibile distinguere diagnostica radiologica (o radiodiagnostica), diagnostica batteriologica e diagnostica biochimica. Inoltre, la diagnostica è detta strumentale quando fa uso di apparecchiature o strumenti particolari (come l’ecografia, l’endoscopia e la radiologia), mentre si parla di diagnostica clinica quando si basa sull’esame diretto del malato da parte del medico.

CENNI STORICI

La diagnostica affonda le sue radici nell’antichità: già nel 3500 a.C. i medici cinesi introdussero i primi metodi per la rilevazione del polso e nel 3000 a.C. la medicina ayurvedica prevedeva visite mediche basate sull’esame del viso, del polso, degli occhi, delle unghie e del colore delle urine; ai medici indù dell’Ayurveda si deve anche il primo accenno alla diagnostica diabetologia: essi notarono che l’urina posta in un vaso e il corpo di alcuni pazienti attraevano grosse formiche nere e le mosche a causa della presenza di zuccheri. Questa scoperta è stata poi ampliata intorno al 1000 a.C. da un altro medico indiano, Charaka, un vero esperto nell’esame dell’urina, attraverso cui riuscì a classificare venti varietà di poliuria e il diabete mellito.
La diagnosi del medico egizio si basava sulla compilazione di un questionario sull’aspetto, lo stato di coscienza, l’udito, l’odore del corpo, le secrezioni, le tumefazioni, la temperatura e il polso, procedendo con percussioni e controlli delle urine, delle feci e dell’espettorato. Più avanti verranno introdotte le pratiche della palpazione, dell’ispezione e, probabilmente, dell’auscultazione, ma l’uroscopia resterà il mezzo diagnostico più utilizzato per moltissimi secoli. In un papiro ritrovato a Saqqara è descritto anche un metodo per diagnosticare la gravidanza: era possibile ottenere pochi giorni la germinazione di semi di grano e orzo innaffiati con le urine della paziente gravida.
Nella medicina mesopotamica, invece, prima di osservare i sintomi del malato si procedeva alla divinazione, cioè alla consultazione degli dei; i medici che si occupavano in modo specifico della divinazione e della diagnosi venivano chiamati Baru. Un usatissimo metodo diagnostico mesopotamico è l’epatoscopia, ossia l’uccisione di un volatile per osservarne il fegato; a Babilonia sono stati ritrovati diversi  modelli in terracotta di fegato d’animali.
Nel 500 a.C. fiorì a Kos, in Grecia, una scuola medica le cui dottrine influenzarono tutto il pensiero scientifico del tempo, ma in cui il medico occupava più dell’ammalato che della malattia, dando poca importanza alla diagnosi. Nel 400 a.C. Ippocrate, illustre medico di questa scuola, associò al differente aspetto dei campioni di urina  la presenza di diverse patologie renali. Inoltre descrisse due metodi per accertare la fecondità della donna: il primo, acquisito della medicina egiziana, consisteva nel far bollire una testa di aglio che, lasciata per un giorno nella vagina della paziente da esaminare, perdeva il suo odore solo se la donna era in grado di concepire; l’altro, riprese da Aristotele, consisteva nell’avvolgere la paziente in lini e coperte ponendole sotto un profumo, che avrebbe continuato ad emanare la sua fragranza solo se la donna fosse stata fertile.
Nella sua opera “de Urinis” Teofilo di Bisanzio (700 d.C.) esaltò il ruolo dell’uroscopia: l’aspetto delle urine divenne indice di malattie specifiche; nei secoli successivi sono stati sviluppati diversi metodi diagnostici basati sull’uroscopia utilizzando l tecniche più disparate.
Dal 1400 al XIX secolo
Nel XV secolo gli studi condotti dal medico e teologo Nicola di Cusa portarono i medici a riflettere sul fatto che il peso del sangue e delle urine sono diversi in caso di malattia o di buona salute; si giunse, così, nel 1600 alla descrizione di un sistema per pesare i liquidi organici (Gerhard Dom, The anatomy of urine). Johanna Baptista van Helmont è riconosciuto quale primo misuratore del peso specifico nell’analisi dell’urina, sarebbe si ritenga che un aerometro fosse già conosciuto attorno al  300-350 d.C. inventato dal matematico greco Pappaus di Alessandria: la documentazione della sua esistenza risale attorno al 110 per opera del medico arabo Al-Khazini. Fu, però, Paracelso a descrivere il primo metodo per l’analisi chimica delle urine (1520).
Il forte interesse per questi studi metodo-diagnostici è dimostrato dalla pubblicazione del libello polemico Pisse-Prophet (1637) da parte del londinese Thomas Brina, che criticò l’uso smodato dell’uroscopia, ritenendola un mezzo utilizzato da ciarlatani e presunti medici, che chiamavano tale tecnica uromanzia e attraverso le quale pretendevano predire sesso, età, stato di salute e durata della malattia. Nel suo libro Brina scrive che “sarebbe meglio per il medico visitare una volta il suo paziente  piuttosto che osservare venti volte le sue urine”. Anche il medico inglese Thomas Sydenham sostenne fortemente  l’importanza di osservare i sintomi e di stabilire un contatto con il paziente nella pratica clinica.
Tuttavia questi tipi di studi continuarono e nel 1727 Johann Heinrich Methe presentò il suo hidrometrum urinae, un aerometro, che seppur senza una gradazione ben definita permetteva la misurazione del peso specifico delle urine. La prima analisi chimico-quantitativa completa venne, infine, eseguita nel 1809 da Jöns Jacob Berzelius.
Nel XIX secolo vennero introdotte ulteriori innovazioni in questo campo; fra le altre Cesare Pratesi, a Firenze, mise a punto una nuova tecnica per misurare la quantità di glucosio nelle urine, mentre Georg Hubert Esbach propose l’albuminometro e un semplice metodo per la quantificazione di questa proteina che riscosse a lungo un forte successo.
Anche Galileo Galilei contribuì allo sviluppo della diagnostica: nel 1593 inventò il primo termometro, utilizzando un cilindro di vetro dove veniva posto un liquido la cui densità aumentava sensibilmente al diminuire della temperatura esterna; in questo liquido venivano messe a galleggiare delle ampolline di vetro riempite di una sostanza colorata e con targhette numerate per le rilevazioni della temperatura.
L’invenzione di Galileo fu perfezionata con l’impiego di alcol dal Granduca Ferdinando II (1641). Risale, invece, al 1600 la messa a punto del termometro ad aria da parte di Santorio; tuttavia, gli studi che portarono all’invenzione dello strumento come lo conosciamo oggi risalgono alla metà del XVII secolo, quando Evangelista Torricelli creò il barometro e avviò lo sviluppo della termometria. Hermannus Boerhaave ebbe, invece, il merito di compiere i primi lavori sul calore specifico, verificando la differente capacità termica dei corpi con  la miscelazione di diverse sostanze come acqua e mercurio, attraverso il calorimetro delle mescolanze. Infine, nel 1714 Gabriel Fahrenheit costruì il primo termometro a mercurio e nel 1815 Wunderlinch introdusse questo strumento nella pratica clinica.
Nel XVII secolo Santorio introdusse anche il pulsimetro (o pulsiologio) per la misurazione del ritmo e della frequenza del polso. Ma il contributo probabilmente più noto che il 1600 diede allo sviluppo delle tecniche analitiche fu l’invenzione del primo microscopio (1624), sempre ad opera di Galileo. Il prototipo di microscopio composto fu, però, costruito da Antonio van Leeuwenhoch nel 1676; si trattava di uno strumento a lenti singole che ingrandiva fino a 300-500 volte. Nel 1798, a Milano, Koristka iniziò a produrre dei microscopi che ottennero molto successo in Europa e nel 1812 Giovan Battista Amici costruì il primo microscopio catadiottrico.
Nel 1600 emerse anche l’importante ruolo della chimica nelle discipline biologiche; Giovan Battista Volpini sviluppò, così, la cosiddetta iatrochimica, già fondata da Paracelso e che può essere considerata il predecessore della biochimica moderna.
Infine, nel 1733 l’inglese Hales misurò per la prima volta la pressione sanguigna e nel 1716 Leopold Auenbugger, medico austriaco, descrisse la percussione come tecnica semeiotica nella sua opera di diagnostica a base anatomica, Inventum novum.
Nel corso del 1800 vennero sviluppate nuove tecnologie e metodiche per l’analisi delle urine e del sangue ; Johann Luca Schönlein, uno dei più grandi fautori della chimica analitica in medicina, esortò i suoi studenti ad analizzare i metodi chimici e i reagenti per diagnosticare le malattie e Gaetano Primavera, chimico-medico, pubblicò a Napoli il primo Manuale di chimica clinica (1868).
Vennero messi a punto diversi saggi colorimetrici (come quello per il dosaggio dell’emoglobina e la colorazione di Gram) e Jean Baptistie Soleil perfezionò il diabetometro, contro cui Biot dosò per la prima volta in modo preciso il glucosio presente nell’urina. Il metodo successivamente ideato da Hermann von Fehling rimase in uso fino agli anni ’50 del XX secolo. Inoltre, furono studiati test per la ricerca di proteine e precipitati presenti nell’urina e l’ureometro, un apparato per il dosaggio dell’urea. In Francia, René Theophile Laennec pubblicò De l’auscultation médiate, un trattato sullo stetoscopio da lui stesso inventato, mentre Filippo Bozzini descrisse un precursore del moderno cistoscopio, che, però, ideò come strumento per l’analisi dell’orecchio e del sistema respiratorio.
Nel 1841 Justus Liebig aprì la via alle analisi chimiche sui liquidi biologici a scopo diagnostico con la sua pubblicazione La Chimica Organica applicata alla Fisiologia animale ed alla patologia. Da questo momento questi studi divennero sempre più frequenti; Johann Franz Simon raccolse le sue esperienze analitiche nella pratica chimica nell’Handbuch der Angewabdten Medizinischen Chemie e nel 1842 nacque il primo laboratorio di analisi chimico-cliniche, diretto da Johan Joseph Scherer, allievo di Liebig, presso il Juliuspitaal di Wurzburg (Germania). Sulla base delle nozioni contenute nell’opera di Bunsen (Gazometrische Methoden), le determinazioni gasvolumetriche si diffusero anche per i liquidi biologici, rendendo, così, possibile la costruzione di numerosi ureometri e risalire del volume di gas liberato durante una reazione chimica specifica alla concentrazione nel sangue. Nel 1860 Gustav R. Kichhoff e Robert Bunsen costruirono lo spettroscopio per analisi chimiche.
Accanto ai metodi per il conteggio dei corpuscoli ematici (come la camera di Bürker e altri test per la composizione del sangue come quelli per il colesterolo, la VES e la densità, viene messo in commercio il primo kit della storia della diagnostica, per la determinazione dell’emoglobina (William Richard Gowers). Nel 1897 Kraus descrisse per la prima volta la reazione di immunoprecipitazione per l’identificazione di antigeni o anticorpi e, a Torino, Cesare Serono venne assunto in Clinica Medica come capo del laboratorio di ricerche Chimico-cliniche e pubblicò il Manuale di analisi chimica, clinica, fisiopatologica e igenica.
Vennero gettate le basi dell’ecografia e dell’ecografia e gli studi di Pierre e Jaques Curie permisero un grande sviluppo delle tecniche eco-sonore. Furono costruiti l’oftalmometro, il cistomanometro e lo sfigomanometro. Nel 1895 Wilhelm C. Röntgen scoprì i raggi X ed effettuò la prima radiografia, segnando la nascita della diagnostica per immagini; tre anni dopo Heinrich Ernst Albers-Schönberg fondò ad Amburgo il primo istituto di radiologia e venne istituita la prima cattedra di questa disciplina. Lo stesso Albers- Schönberg morì nel 1921 per lesioni da raggi.
Il XX secolo è stato lo scenario per un’ampia evoluzione delle tecniche diagnostiche, sia per le innovazioni nella biochimica clinica e nelle metodiche di biologia molecolare, sia per la messa a punto di nuovi macchinari in ambito radiologico e di medicina nucleare. Nel corso degli anni furono messi a punto nuovi metodi analitici per lo studio  della composizione delle urine e del sangue, alcune delle quali sono in uso ancora oggi: si pensi al sistema per la determinazione dell’urobilinogeno, proposto del 1901 da Ehrich e perfezionato da Watson e Hawkinson nel 1947. Inizia, così, la commercializzazione di una serie di kit per la diagnostica, la cui evoluzione prosegue ancora oggi.
Nel 1956 scoppia la rivoluzione delle strisce, o sticks, o strips per il dosaggio del glucosio nelle urine. Il primo esempio è Clinitest della ditta Ames; in seguito Boehringer lancia il Glukotest, il primo mezzo diagnostico utilizzabile direttamente dal paziente. Inoltre, vennero messi a punto i metodi per l’isolamento dei virus e i sistemi di dosaggio degli ormoni.
Fra i vari test che sono stati elaborati in questo secolo vi sono : il Pap test per la rilevazione delle cellule tumorali del collo dell’utero (1923), i reagenti per la determinazione dei gruppi sanguigni, i metodi enzimatici per la determinazione dell’alcolemia (1953), il CPK per la diagnosi dell’infarto miocardico (1957) e i test RIA per la determinazione dell’insulina plasmatica ed ELISA per la rilevazione degli antigeni (1958). Più tardi (1967) vennero messi in uso nei laboratori di allergologia due nuovi test radioimmunologici, il PRIST (Paper RadioImmuno Sorbent Test) e il RAST (Radio Allergo Sorbent Test). Infine sono comparsi il primo pungi dito per l’autocontrollo del diabete e i test per l’HIV e per la diagnosi sierologica dell’Epatite C ed è stato approvato HerceptTest (Dako), con il quale possono essere selezionate le pazienti con tumore al seno che potranno avere benefici terapeutici con Herceptina (Genentech); venne, così; coniato il termine teratognostica, per sottolineare l’influenza della diagnostica sulla terapia farmacologica. Un’altra nuova metodologia analitica per laboratori di questo secolo fu l’elettrochemiluminescenza.
A partire dalla fine degli anni ’80 l’invenzione del a PRC (Polymerase Chain Reaction), che permette di amplificare il DNA e l’Rna, permise lo sviluppo di nuove applicazioni diagnostiche. Si giunse, così, all’uso dello scanner Gene Arry HP, in grado di identificare migliaia di mutazioni in un DNA, riducendo notevolmente i tempi di analisi.
Nel frattempo iniziarono a nascere delle ditte specializzate nella produzione e la vendita di prodotti per la diagnostica: Roche, Instrumentation Laboratoires, Boehringer Mannheim e, poi, Biochemia.
Il 1900 è anche un secolo che ha visto la nascita di numerosi strumenti per l’analisi dello stato di salute dei vari organi: l’esofagosopio, il gastroscopio e l’endoscopio. Inoltre vennero perfezionate le tecniche di prelievo del sangue e tutta una serie di apparecchiature automatizzate che resero più rapido ed efficiente il lavoro dei laboratori. Ernest Ruska costruì il primo microscopio elettronico  (1930), il cui utilizzo è stato esteso in breve tempo ai preparati biologici. Molto più avanti nel corso del secolo dall’azienda Takachiho Seisakusho, specializzata in apparati ottici, è nata Olympus, che ha costituito la propria divisione diagnostici e ha messo in commercio il primo microscopio prodotto in Giappone.
L’elettroencefalografia si affermò negli anni venti. Nel 1926 il portoghese Moniz, futuro premio Nobel, inventò l’angiografia, iniettando nei vasi sanguigni una sostanza radiopaca e ottenendo, così, l’immagine della va scolatura del cervello; negli anni ’40 anche gli ultrasuoni trovarono applicazione nella diagnostica medica. Nel 1953 venne definitivamente messa a punto l’ecografia, detta anche ecometria (John Julian Wild e John Reid, 1953), con la quale vengono inizialmente indagati i tumori mammari. La prima mammografia venne effettuata nel 1965 e un anno dopo fu messo a punto il primo mammografo. Nel 1972 la Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) entrò nella diagnostica per immagini e nel 1973 venne introdotta la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), inventata dall’inglese Godfrey Hounsfield e L’American Medical Association riconobbe ufficialmente la Medicina Nucleare quale scienza medica.
Il grande sviluppo della diagnostica sviluppo della diagnostica fece nascere la necessità di verificare la qualità delle diagnosi prodotte; venne, così, effettuato anche in Italia il primo controllo di qualità interlaboratori (1964): lo scalpore fu enorme perché vennero riscontrate sostanziali differenze nei risultati analitici fra i vari laboratori.
A partire dagli anni ’40 si videro nascere diverse società nel settore: nel 1942 fu fondata la Société Française de Biologie Clinique, seguita, cinque anni più tardi, dalla Nederlandse Vereniging voor Klinische Chemie e dalla Finnish Society of Clinical Chemistry. Nel 1953 nacque la britannica Association of Clinical Biochemists e l’anno successivo la Swedish Society for Clinical Chemistry. Nel 1968 venne istituita la Società Italiana di Biochimica Clinica (SIBioC). Furono questi gli anni ruggenti del definitivo sviluppo della biochimica clinica quale disciplina autonoma, grazie al sinergismo e, talvolta, alla sana competizione tra le società scientifiche e alla fervente attività dei padri storici del moderno laboratorio, provenienti dalla scuola veneta, da quella lombarda e da quelle napoletana, emiliana, toscana, piemontese, siciliana e del Lazio.
Contemporaneamente, iniziarono ad essere pubblicate le prime riviste specialistiche: lo Scandinavian Jurnal of Clinical & Laboratory Investigation, Clinical Chemistry, Clinical Chimica Acta e Advance in Clinical Chemistry. Sono degli anni ’70, invece, Attualità Diagnostiche, la prima rivista di divulgazione tecnicoscientifica per il laboratorio e Biochimica Clinica, organo ufficiale della Società Italiana di Biochimica Clinica.
Nel 1984 si costituì a Milano Assobiomedica, l’associazione che rappresenta le imprese operanti nel settore delle tecnologie, delle apparecchiature biomediche, della diagnostica in vitro e della telemedicina e il 4 novembre 1987 fu inaugurato il Primo congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina di Laboratorio (SIMeL).
Attualmente le tecniche diagnostiche continuano a evolvere in tutti i settori. Vengono messi a punto nuovi test, come quello per la BSE e quello per l’identificazione rapida dell’antrace in campioni umani e ambientali; nel 2003 Roche ha annunciato il lancio mondiale di un test per individuare il virus che provoca la SARS, inizialmente destinato alla ricerca. Allo stesso tempo del prototipo dell’endomicroscopio costruito da Graham Jenkins dell’università di Melbourne, delle dimensioni di una penna biro.
Presenza in Italia ed efficacia sulla popolazione.
Lo sviluppo di nuove tecnologie in ambito diagnostico ha consentito l’applicazione clinica di metodiche strumentali non invasive e non dannose. Ciò ha fatto si che in altri Paesi europei siano stati inseriti esperti di biochimica clinica nelle strutture ospedaliere per poter seguire i problemi connessi alla diagnosi, esercitare un’attenta vigilanza e ottimizzare le terapie riducendone le dosi e, quindi, diminuendo gli effetti collaterali e i costi.
In Italia i biochimici clinici sono figure ricercate già dall’industria chimico-analitica, ma anche il Servizio Sanitario Nazionale dovrà sempre di più ricorrere a questi professionisti, come, tra l’altro, è stato già previsto dal Piano Sanitario Nazionale.
Il consumo pro-capite di tecniche diagnostiche nel nostro Paese è elevato; in particolare, la ragione italiana in cui si effettua il maggior numero di analisi biochimico- cliniche è la Sicilia.

SCUOLE DI FORMAZIONE, UNIVERSITA´E CORSI DI AGGIORNAMENTO

L’ambito della diagnostica richiede diverse figure specializzate in campi differenti, dal tecnico di laboratorio al medico specializzato.
Dopo la laurea in Medicina e Chirurgia e l’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione medica è possibile frequentare la Scuola di Specializzazione in Biochimica e Chimica Clinica, in Medicina Nucleare o in Radiologia.
Il corso di laurea in Medicina e Chirurgia è attivo presso le università di Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Foggia, Genova, L’Aquila, Messina, Milano (Università degli Studi, Milano-Bicocca, Cattolica), Modena, Napoli (Federico II, Seconda Università degli Studi), Padova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia, Pisa, Roma (Tor Vergata), Sassari, Siena, Torino, Varese e Verona.
Nell’anno accademico 2007/2008 la Scuola di Specializzazione in Biochimica e Chimica Clinica è stata attivata presso gli atenei di Bari, Brescia, Catania, Catanzaro, Chieti, Firenze, L’Aquila, Messina, Milano (Università degli Studi, Milano-Bicocca, Cattolica), Modena, Napoli (Federico II, Seconda Università degli Studi), Padova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia, Pisa, Roma (Tor Vergata), Sassari, Siena, Torino, Varese e Verona.
La Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare è stata, invece, attivata presso le università di Bari, Bologna, Brescia, Ferrara, Firenze, Genova, Messina, Milano (Università degli Studi, Milano-Bicocca, Cattolica), Napoli (Federico II, Seconda Università degli Studi), Padova, Perugia, Pisa, Roma (LA Sapienza, Tor Vergata), Sassari e Torino.
Infine la Scuola di Specializzazione in Radiodiagnostica è stata attivata negli atenei di Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Chieti, Ferrara, Firenze, Foggia, Genova, L’Aquila, Messina, Milano (Università degli Studi, Milano-Bicocca, Vita-Salute San Raffaele, Cattolica), Modena, Napoli (Federico II, Seconda Università degli Studi), Novara, Padova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia, Pisa, Roma (La Sapienza, Tor Vergata, Campus Biomedico), Sassari, Siena, Torino, Trieste, Udine, Varese e Verona.
In diverse università è possibile frequentare il corso di laurea in Tecnico Sanitario di Laboratorio Biomedico (Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Catanzaro, Ferrara, Firenze, Foggia, Genova, L’Aquila, Messina, Milano – Università degli Studi, Milano-Bicocca, Cattolica, Modena, Napoli – Federico II, Seconda Università degli Studi, Padova, Palermo, Pavia, Perugia, Pisa, Roma – La Sapienza, Tor Vergata, Siena, Torino, Trieste, Udine, Varese – Como, Vercelli e Verona), Tecnico Sanitario di Radiologia Medica (Chieti, Messina e Roma – La Sapienza e Tor Vergata), Tecnico Sanitario di Radiologia Medica, per Immagini e Terapia (Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Catanzaro, Chieti, Ferrara, Firenze, Genova, L’Aquila, Milano – Università degli Studi, Milano-Bicocca, Cattolica, Modena, Napoli – Federico II, Seconda Università degli Studi, Padova, Palermo, Parma, Pavia, Pisa, Siena, Torino, Trieste, Udine, Varese-Como, Vercelli e Verona) e in Tecniche Diagnostiche per Laboratorio Biomedico (Parma).
Inoltre, è possibile acquisire una formazione nell’ambito della diagnostica frequentando corsi di Dottorato di Ricerca come quello in diagnostica biomolecolare in medicina interna e oncologia, istituito presso l’Università degli Studi di Bari. Per informazioni riguardo l’attivazione dei Dottorati di Ricerca e dei Master è consigliabile consultare i siti web dei
Vari atenei, in quanto l’offerta formativa è variabile di anno in anno.

TRATTATO DESCRITTIVO

La malattia è un’alterazione dello stato fisiologico o psicologico dell’organismo che può ridurre, modificare in senso negativo o eliminare le normali funzioni del corpo stesso. Più in particolare, la malattia intesa come modello medico è un processo patologico, una situazione che si discosta dalla normalità biologica. Partendo da questo punto di vista il medico può misurare il processo patologico in modo oggettivo. D’altra parte la malattia può essere intesa anche come il vissuto del malato, ossia l’insieme delle sensazioni, l’esperienza totalmente personale e soggettiva della perdita della salute.
E’ possibile classificare le malattie in base alla loro origine (eziologia); patologie appartenenti alla stessa famiglia possono presentare tratti comuni sia in fase di diagnosi, sia nella terapia seguente.
La malattia viene riconosciuta in base ai sintomi, di cui quelli specifici sono detti patognomici e alle manifestazioni evidenti (segni). L’insieme dei sintomi (quadro clinico) è, spesso, sufficiente per riconoscerne la causa; per malattie semplici, come un raffreddore, essi sono totalmente noti da permettere al paziente di identificare la patologia e ricorrere ai farmaci di automedicazione. In altri casi la sintomatologia può non manifestarsi per periodi molto lunghi (come nel caso del’’infezione da HIV) e, quindi, è necessario ricorrere al metodo clinico, stabilito dal medico italiano Angelo Murri, che prevede un’attenta visita medica (escluse le indagini strumentali).
Il procedimento diagnostico è articolato in diversi momenti: l’anamnesi, la semeiotica e la valutazione del quadro clinico.
Anamnesi
Il primo passo verso la formulazione di una diagnosi corretta è chiedere al paziente o ai suoi familiari tutte le informazioni che possono aiutare a identificare la malattia (ad esempio i sintomi) e a ricercare la storia clinica del malato. Perciò l’anamnesi include non solo i dati fisiologici recenti, ma anche quelli riguardanti il passato e i precedenti familiari.
Il tipo di domande necessarie varia a seconda della medicina e delle terapie impiegate; ad esempio, l’omeopata non pone solo le abituali domande anamnestiche, ma esegue anche dei check list per rilevare ogni reazione del paziente a stimoli ambientali e sociali. In un caso come questo si parla di repertorizzazione.
Semeiotica
In una fase successiva all’anamnesi il medico utilizza le classiche manovre di ispezione, popolazione, percussione e di auscultazione per rilevare i segni della malattia. Il medico procederà alla visita nel modo che ritiene più opportuno a seconda del tipo di sintomi riportati dal paziente.

L’ispezione consiste nell’osservazione accurata e metodica del paziente per valutarne la costituzione, il portamento, la gestualità e la mimica. Inoltre, per alcune patologie è possibile andare a ricercare i segni caratteristici del disturbo (ad esempio la presenza di vescicole nel caso della varicella) o concentrare l’ispezione su alcune parti del corpo secondo appropriati criteri (ad esempio la cute o le mucose). La palpazione prevede, invece, di toccare diverse regioni (ad esempio l’addome) per capirne la consistenza, l’elasticità, la motilità, la sensibilità, la struttura, la temperatura e l’umidità, in modo da ottenere