Un antico proverbio affermava: “Due cose non ti abbandoneranno mai: l’occhio di Dio che ti vede ovunque, e il cuore della mamma che ti segue sempre”. Per quanto la saggezza popolare appaia molto spesso retorica semplificatrice, tuttavia in questo caso può essere d’aiuto per cogliere sinteticamente lo statuto di uno dei rapporti primari dell’umana convivenza: quello tra un figlio e la propria madre. Un legame che accompagna e “segue” ogni individuo dalla nascita fino all’ultimo giorno dell’esistenza. Dopo nove mesi di gestazione, subito dopo il parto il bambino viene solitamente consegnato per qualche minuto nelle mani della neomamma, un semplice gesto col quale si sancisce la nascita di questo rapporto determinante. E dopo una vita con i suoi molteplici colori e melodie, non è difficile osservare come i moribondi invochino la propria madre, quasi a ricucire idealmente la fine con il principio. Vita e morte, nel nome della madre.

Il termine neonato significa letteralmente “nuovo nato” e si riferisce, in genere, al bambino nei primi ventotto giorni di vita. Mentre dall´inizio del secondo mese al compimento dell´anno di età, il bambino viene definito “lattante”. A seconda dell´età gestazionale raggiunta al momento del parto si è soliti distinguere tra: Neonati pre-termine (nati prima della 37ª settimana di gravidanza); Neonati a termine (nati tra la 37ª  e la 42ª settimana di gravidanza); Neonati post-termine (nati oltre la 42ª  settimana di gravidanza). Subito dopo il parto il neonato viene sottoposto ad un rapido esame, il test di Apgar, in base al quale viene assegnato un punteggio che fornisce una valutazione sintetica della transizione dalla vita uterina a quella extra-uterina e dello stato del bambino. Il test viene effettuato al 1° e al 5° minuto di vita, ed è fondato sull´osservazione di alcuni parametri: respirazione, battito cardiaco, colorito, tono muscolare e reattività del bambino. Quindi il nuovo nato viene lavato, pesato, misurato, sottoposto alla profilassi oculare, consistente nell´applicazione di gocce antibiotiche contro eventuali infezioni da batteri presenti nel canale del parto (gonococco e altri batteri) e gli viene iniettata una piccola quantità di vitamina K. In seguito il neonato viene riportato in area parto dove rimane con la mamma per tutto il tempo del secondamento e del post-parto.
Questo è quanto avviene oggettivamente intorno al neonato nei primi attimi della sua entrata nel mondo esterno. Tuttavia, dal suo punto di vista, il bambino lascia un microcosmo protetto e sicuro per essere gettato in un universo a tutti gli effetti alieno dove viene a contatto con una quantità innumerevole di stimoli sensoriali sconosciuti. Per poter sopravvivere a questo cambiamento radicale, la natura lo ha predisposto di un sistema di riflessi arcaici primari, chiamati riflessi neonatali, designati ad assicurare una risposta immediata al nuovo intorno. Il momento del passaggio ad una vita autonoma comporta per il neonato la necessità di un periodo di adattamento, durante il quale avvengono importanti mutamenti emodinamici, metabolici, ormonali e strutturali. Il neonato entra finalmente in relazione con l´ambiente esterno, precedentemente filtrato dal protettivo corpo materno, e deve dimostrare di aver acquisito una maturità funzionale tale da garantirgli un’armoniosa crescita fisica, intellettiva ed emotiva. Quindi la presenza dei riflessi primari è indispensabile per la sopravvivenza del nascituro. Altrettanto indispensabile per l´organizzazione della sua vita relazionale, sensoriale, affettiva e produttiva è che questi riflessi si estinguano completamente entro i 6-12 mesi di vita. A questo punto, infatti, il precocissimo modellamento delle basi neurobiologiche consentono al neonato lo sviluppo di competenze sempre più raffinate e l’acquisizione di nuovi comportamenti grazie ai quali le sue interazioni con l’ambiente diventano evolute e complesse. Incomincia così il lungo cammino per diventare uomo. Un viaggio, è utile ribadirlo, nel quale cruciali sono le prime epoche della vita, a partire dallo sviluppo embrio-fetale ai primissimi anni, per lo sviluppo del bambino nel suo insieme e dei suoi vari organi ed apparati: dal sistema nervoso centrale a quello immunitario, respiratorio e gastrointestinale. Le intuizioni sull’importanza degli eventi precoci sullo sviluppo del bambino di molti studiosi del secolo scorso, a partire da Maria Montessori, hanno trovato conferma in studi recentissimi, sia di tipo neurobiologico, relativi ai tempi di sviluppo della rete neuronale, sia di tipo empirico, relativi alla capacità del feto, già a partire dalle 24-25 settimane, di rispondere a suoni e di compiere movimenti finalizzati, oppure del neonato di riconoscere all’olfatto ed alla vista il seno ed il viso materni, e di memorizzare suoni e parole.
Altrettanto fondamentali per garantire uno sviluppo armonico e completo sono il numero e la qualità delle relazioni affettive e sociali che si stabiliscono nelle fasi iniziali della vita. Il primo rapporto del bambino con l´alterità è quello con la madre che si sviluppa secondo le regole dell´attaccamento. In ordine di importanza a questo rapporto primario seguono quelli con gli altri familiari. La nostra stessa visione del mondo, più o meno fiduciosa e “facile” ai rapporti con il prossimo, oppure diffidente e “difficile”, dipende, oltre che ovviamente dal patrimonio genetico, anche dalle modalità di attaccamento con la figura o le figure adulte di riferimento durante il primo anno di vita.
Il parto è senz’altro uno dei momenti più sconvolgenti nella vita di una donna, durante il quale si provano emozioni e sensazioni fortissime che possono aiutare o complicare il parto. In questo momento è particolarmente importante sapere riequilibrare le forti emozioni e sensazioni fisiche in modo da poter mantenere il controllo del proprio corpo ed aiutare il bambino a nascere. Ugualmente intenso e problematico è lo stato emotivo dopo aver partorito. Tutti conoscono la famosa depressione post partum: essa è dovuta principalmente al repentino cambiamento ormonale che avviene nella donna dopo il parto. È normale che la neomamma subito dopo il parto pianga e si senta inerme. Alcune donne si sentono in colpa per questa debolezza e così non fanno altro che peggiorare la situazione. Di solito la depressione e il deperimento fisico passano dopo pochi giorni ed è molto importante che la donna venga aiutata fisicamente dai familiari ad accudire il neonato nelle prime settimane. Un altro motivo per imparare a bilanciare le proprie emozioni in questo periodo è di riuscire ad iniziare l’educazione del proprio figlio che avviene fin dai primissimi istanti già con l’azione necessaria dell’allattamento al seno.
Per favorire l’allattamento, i neonatologi consigliano di attaccare il bambino al seno subito dopo il parto, facendo in modo che si instauri con la mamma il cosiddetto contatto “pelle-a-pelle”. Si è visto che fin dalle primissime ore di vita, il piccolo è in grado di trovare da solo il seno materno e di succhiare. Inoltre, il corpo della madre aiuta il bambino a mantenere una temperatura adeguata (molto importante per bambini molto piccoli o nati pretermine, ma anche per i bimbi sani nati a termine) e il bambino ne risente in modo positivo. Pediatri e nutrizionisti sono d’accordo nel definire che il latte materno rappresenti il miglior alimento per i neonati, in quanto è in grado di fornire tutti i nutrienti di cui hanno bisogno nella prima fase della loro vita, come per esempio certi acidi grassi polinsaturi, proteine, ferro assimilabile. Inoltre, contiene sostanze bioattive e immunologiche che non si trovano nei sostituti artificiali e che invece sono fondamentali, sia per proteggere il bambino da eventuali infezioni batteriche e virali, sia per favorire lo sviluppo intestinale. Gli esperti definiscono il latte materno “specie specifico”, cioè un alimento biologicamente adatto per l’essere umano. È sempre pronto, sempre fresco, sempre caldo. Inoltre per meglio adeguarsi alle necessità di crescita del neonato, il latte materno non ha mai la stessa composizione: infatti modifica nel tempo la sua formula, rendendola ancora più unica e inimitabile. È per questo che tutti i bambini dovrebbero essere esclusivamente allattati al seno per i primi sei mesi di vita (26 settimane), secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), dell’Unicef e dell’Unione Europea, recepite anche dal nostro Ministero della Salute.
Il bambino e la mamma formano una sola unità sociale e biologica: lo stato di salute (tanto fisico quanto psicologico) e di nutrizione della mamma e del bambino sono quindi intimamente legati. Un dato di fatto, questo, che è stato riconosciuto anche dalle Organizzazioni Internazionali. In particolare, l’OMS ha individuato nel miglioramento della qualità della vita della madre e del bambino, uno degli obiettivi sanitari prioritari a livello mondiale. Tra gli strumenti di promozione della salute occupano un posto di rilievo gli interventi di prevenzione primaria per affrontare quelle che attualmente rimangono le principali cause di mortalità e morbosità nel primo anno di vita: malformazioni congenite, prematurità, SIDS (sindrome della morte improvvisa del lattante), incidenti, patologie infettive. Molti di questi interventi utilizzano campagne di promozione della salute finalizzate a rinforzare o a proporre nuovi modelli comportamentali orientati alla prevenzione e a corretti stili di vita. Promozione che va esercitata nel rispetto delle libertà individuali e della cultura dei diversi gruppi sociali. La capacità della popolazione di incidere in modo consapevole ed efficace sui propri stili di vita fin dal concepimento, va di pari passo all’acquisizione da parte dei futuri e neo genitori delle capacità di prendersi cura in modo complessivo dello sviluppo bio-psicosociale del bambino, in altre parole di sviluppare pienamente la propria genitorialità. Si va a poco a poco affermando il modello operativo di un lavoro integrato di rete tra i differenti soggetti coinvolti: le Istituzioni, i responsabili dei servizi, gli operatori sanitari e le famiglie. I genitori hanno più competenze di quanto ci si aspetti: il compito dell’operatore della salute è di aiutare le madri per prime, i padri e chi sta intorno a loro a ritrovare coraggio e ritornare ad esprimere le proprie potenzialità. Ogni figlio è un “progetto”, la proiezione di una coppia, di un gruppo, di una comunità verso il futuro. Di questo futuro ci si deve prendere cura fin dai primissimi passi.
Un’idea, questa, che si è affermata soltanto nel secolo scorso. Il primo strumento internazionale in assoluto a tutela dei diritti dell´infanzia è stata la “Convenzione sull´età minima” adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel 1919. A parte questa, la prima significativa attestazione dei diritti del bambino si ha con la Dichiarazione di Ginevra, o Dichiarazione dei diritti del bambino, adottata dalla Quinta Assemblea Generale della Società delle Nazioni nel 1924. Tale documento, che precedeva di più di venti anni la “Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo”, non era però ancora concepito come strumento atto a valorizzare il bambino in quanto titolare, ma solo in quanto destinatario passivo di diritti. Inoltre, la Dichiarazione non si rivolgeva agli Stati per stabilirne gli obblighi, ma chiamava in causa più genericamente l´umanità intera affinché garantisse protezione ai minori. La stesura della Dichiarazione era dovuta agli eventi drammatici che avevano segnato l´inizio del ‘900, in particolar modo la I Guerra Mondiale. La scomparsa di milioni di persone, il problema delle vedove e degli orfani, ponevano in primo piano la questione della salvaguardia delle generazioni future. È una collaboratrice della Croce Rossa ad elaborare un testo volutamente breve e conciso, recepito prima dall´Unione Internazionale per il soccorso all´Infanzia e successivamente adottato all´unanimità dalla Società delle Nazioni. La Dichiarazione di Ginevra consta di cinque principi ed ha un impianto sostanzialmente assistenzialista, teso ad affermare le necessità materiali e affettive dei minori.
Dopo lo scioglimento della Società delle Nazioni e la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e del Fondo Internazionale delle Nazioni Unite per l´Infanzia (UNICEF), si fa strada il progetto di una Carta sui diritti dei bambini che integri la Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo, con lo scopo di sottolinearne i bisogni specifici.
La stesura e l´approvazione della Dichiarazione dei diritti del fanciullo da parte dell´Assemblea Generale delle Nazioni Unite avviene all’unanimità e senza astensioni il 20 novembre 1959. Il documento si propone di mantenere i medesimi intenti previsti nella Dichiarazione di Ginevra, ma chiedendo agli Stati sia di riconoscere i principi contemplati nella dichiarazione, sia di impegnarsi nella loro applicazione e diffusione. La Dichiarazione consiste in una sorta di “statuto” dei diritti del bambino e contempla un Preambolo, in cui si richiamano la Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo del 1948 e la Dichiarazione sui diritti del fanciullo del 1924. Pur non essendo uno strumento vincolante, bensì una mera dichiarazione di principi, la Dichiarazione gode di una notevole autorevolezza morale, che le deriva dal fatto di essere stata approvata all´unanimità e di essere un documento estremamente innovativo. La Dichiarazione del 1959 introduce il concetto che anche il minore, al pari di qualsiasi altro essere umano, sia un soggetto di diritti; riconosce il principio di non discriminazione e quello di un’adeguata tutela giuridica del bambino sia prima che dopo la nascita; ribadisce il divieto di ogni forma di sfruttamento nei confronti dei minori e auspica l’educazione dei bambini alla comprensione, alla pace e alla tolleranza.
Infine, nel 1989, la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza diventa il primo trattato internazionale giuridicamente vincolante ad affermare i diritti di tutti i bambini. La Convenzione è una tappa fondamentale lungo lo storico percorso volto a realizzare un mondo “a misura di bambino”. Si tratta di un trattato vincolante nell’ambito del diritto internazionale: codifica i principi guida che gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno accettato di considerare universali, cioè applicabili a tutti i bambini, di qualsiasi nazionalità o cultura, in qualsiasi tempo e senza alcuna eccezione, per il solo fatto di essere tutti membri della famiglia umana. Questo trattato ha ispirato modifiche a molte leggi nazionali esistenti, per tutelare più efficacemente i bambini, e ha cambiato il modo in cui le organizzazioni internazionali  concepiscono la propria missione per l’infanzia.