Gridare a squarciagola, bisbigliare un segreto al nostro nipotino, raccomandandogli di tenerlo per se, evitando di dirlo persino alla mamma, disegnare una campagna pubblicitaria, esultare per un gol davanti a migliaia di persone: tutte queste cose significano comunicare.

Comunicare nel 21esimo secolo è qualcosa di estremamente importante, addirittura fondamentale per qualsiasi attività si voglia svolgere. Sapere come relazionarsi in ambito sociale (per lavoro o per amicizia) o più strettamente, in un contesto familiare limita sul nascere situazioni di disagio.

Il termine va analizzato. La comunicazione è un processo costituito da un soggetto che ha intenzione di far sì che il ricevente pensi o faccia qualcosa. Comunicare (dal latino cum = con, e munire legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) non è soltanto un processo di trasmissione di informazioni. In italiano, il termine “comunicazione” ha il significato semantico di “far conoscere”. In tedesco, il termine “Mitteilung” mantiene la radice latina “mettere in comune, condividere”.

Poiché il termine viene impiegato in contesti assai diversi (tra i quali: filosofia, sociologia, psicologia, biologia e teoria dell’informazione), risulta difficile fornire una definizione unica che possa andar bene ad ogni contesto.

In filosofia si incontrano delle riflessioni sulla comunicazione nei testi di Socrate e Platone; Kierkegaard lo tratta esplicitamente (Comunicazione d’esistenza), ma le fonti sono davvero tantissime. La comunicazione riesce a riguardare l’ambito quotidiano (ad esempio un colloquio tra amici al bar) come la pubblicità e le pubbliche relazioni, esprimendo in ciascuno di questi ambiti diverse finalità. Gli agenti della comunicazione possono essere persone, esseri viventi in generale ed entità artificiali. Il punto è che colui che “riceve” la comunicazione, assegna a questa un significato. Così si evince che alla fine è la potenzialità creativa dell’essere umano ad assegnare significati ad ogni cosa, creando il “sistema comunicazione” con le sue due caratteristiche: l’immaginazione e la creazione di simboli. Il concetto del comunicare comporta la presenza di un’interazione tra soggetti diversi. Si tratta in altri termini di una attività che presuppone un certo grado di cooperazione.

Ogni processo comunicativo avviene in entrambe le direzioni e, secondo alcuni, non si può parlare di comunicazione là dove il flusso di segni e di informazioni sia unidirezionale (in questo caso se un soggetto può parlare a qualcuno senza la necessità di ascoltare, siamo in presenza di una semplice trasmissione di segni o informazioni).

Nel processo comunicativo che vede coinvolti gli esseri umani ci troviamo così di fronte a due polarità: da un lato la comunicazione come atto di pura cooperazione, in cui due o più individui “costruiscono insieme una realtà e una verità condivisa; dall’altro la pura e semplice trasmissione, unidirezionale, senza possibilità di replica, nelle varianti dell´imbonimento televisivo o dei rapporti detti “di caserma”. Nel mezzo, naturalmente, ci sono le mille diverse occasioni comunicative che tutti viviamo ogni giorno, in famiglia, a scuola, in ufficio, in città. Ad entrare nello specifico, tracciamo un quadro di un “modello formale di comunicazione”, nel quale si distinguono diversi elementi che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo:

  • emittente: la fonte delle informazioni effettua la codifica di queste ultime in un messaggio
  • ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende
  • codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegata per “formare” il messaggio
  • canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura)
  • contesto: l’”ambiente” significativo all’interno del quale si definisce l’atto comunicativo
  • referente: l’oggetto della comunicazione, a cui si riferisce il messaggio.

Come detto, il processo comunicativo ha una intrinseca natura bidirezionale, quindi il modello va interpretato nel senso che si ha comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi.

In realtà, anche in un monologo chi parla ottiene dalla controparte un feedback continuo, anche se il messaggio non è verbale. Un esempio ne è la frase: “parla quanto vuoi, io non ti ascolto”. Questo fenomeno è stato riassunto con l’assioma (di Paul Watzlawick) secondo il quale, in una situazione in presenza di persone, “non si può non comunicare”: perfino in una situazione anonima come in un vagone della metropolitana noi emettiamo per i nostri vicini continuamente segnali non verbali, e i nostri compagni di viaggio accolgono il messaggio, lo confermano e lo rinforzano.

Il processo comunicativo ha ovviamente anche degli aspetti problematici. Il mezzo influenza la comunicazione, (ciascun mezzo in un modo diverso), e quindi si potranno individuare dei mezzi di comunicazione particolarmente adatti a trattare un certo argomento, ma inadatti ad un altro. Non è detto che il gran numero di singoli messaggi, verbali e non verbali, emessi in un dato momento, siano sempre congruenti tra loro. Posso dire due cose diverse con le parole e con i gesti (ad esempio dire al mio rivale in amore “lieto di conoscerti” con un’espressione del volto assai contrariata). Non è detto che l’interpretazione del contesto all’interno del quale avviene lo scambio comunicativo sia sempre identica o congruente. Nell´aula di una scuola, il docente potrà pensare di avere uno stile partecipativo e “democratic”, e allo stesso tempo lo studente potrà sentirsi parte di una relazione asimmetrica e autoritaria.

Da quanto appena detto emerge chiaramente che la comunicazione non sempre “funziona”. Questo dato viene confermato innumerevoli volte dalla nostra esperienza quotidiana. In situazioni particolari come i conflitti interpersonali, o anche quando sono in gioco patologie mentali, la comunicazione diventa particolarmente difficile e può produrre ulteriore disagio.

A tale proposito risulta interessante ciò che asserisce Paul Watzlawick (1967): “Ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede due dimensioni distinte. Da un lato il contenuto, ciò che le parole dicono, dall´altro la relazione, ovvero quello che i parlanti lasciano intendere, a livello verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro. Entrano così in gioco, (e qui gli staff politici di tutto il mondo studiano per mesi gesti, tempi e pause durante ogni singolo discorso), una serie di elementi che modificano, nella mente di chi interloquisce con l’oratore di turno, persino il senso stesso delle parole espresse.