“Dagli occhi delle donne derivo la mia dottrina. Essi brillano ancora del vero fuoco di Prometeo; sono i libri, le arti, le accademie, che mostrano, contengono e nutriscono il mondo” (da “Pene d’amor perduto” di Shakespeare).

È l’origine del mondo? Qualche uomo dirà che la donna è il bello ed anche il cruccio di tutta una vita. Da sempre al centro dell’attenzione, di sicuro, le donne sono l’inizio della vita di ogni uomo. Lo generano, lo custodiscono e poi lo accompagnano durante gran parte della sua esistenza, diventando persino “nemiche” di altre donne, che si relazionano con il loro “cucciolo”. Sulle donne si scrivono fiumi di parole; frasi, canzoni, libri, sms, e-mail e tanto altro. Amate, odiate, ammirate, criticate; le donne sono la vita e sono gli unici esseri umani in grado di modificarne il corso, in situazioni addirittura impensabili per gli uomini.
La parola donna deriva dal latino donna, forma sincopata di domina, cioè padrona. Fino alla fine del Duecento il termine utilizzato per dire “donna” era “femmina”, ma poi in Toscana prese piede l´uso di “donna”, e da li questa parola si diffuse in tutto il territorio italiano. Spesso discriminate in molte culture del mondo, che riconoscevano loro solo capacità e ruoli limitati alla procreazione e alla cura della prole e della famiglia, a partire dalla fine del 1900, comincia a cambiare moltissimo della condizione femminile. Pur esistendo tuttora culture che prevedono una condizione subalterna della donna, nelle società e nei contesti culturali in cui hanno avuto l’opportunità di esprimere i propri talenti, hanno dimostrato di poter ottenere gli stessi risultati degli uomini, arrivando, in molti campi, a superarli, dimostrando così l’infondatezza ditali discriminazioni.
Non bisogna trascurare di dire che in passato, quando la scolarizzazione per le donne era considerata inutile, molte si rifugiavano nei conventi, dove avevano la possibilità di studiare. Da quella condizione cominciava ad esisterne un’altra, che però risultava ancora più difficile da diffondere, per via di una cultura ancora troppo rigidamente legata allo schema che imponeva alla donna un ruolo marginale e mai decisionale, in ambito familiare e sociale. Partendo da un’istanza che fa riferimento alla differenza, si nota come nella discriminazione che le donne hanno subito, il concetto di disuguaglianza abbia un primato cronologico. Le distinzioni, come detto, nascevano già in ambito familiare, vista la persistenza di una struttura patriarcale; alla donna non veniva assegnato nessun potere di fatto: anche essendo proprietaria di beni, ed in modo particolare della sua dote, non poteva amministrarla, perché questo era un compito che spettava al marito. Oltretutto non era emancipata e, in caso di divorzio, dipendeva sempre, per quel che riguardava le pratiche legali ed economiche, da un parente maschio. L’uguaglianza tra i sessi è stata teorizzata già nel ‘700, mentre la differenza tra i sessi può essere collocata solo all´inizio del ‘900 con la nascita della psicoanalisi, e poi con le varie scoperte nel campo della biologia, come per esempio i principi della selezione naturale. A quei tempi era opinione corrente che le donne fossero copie malriuscite degli uomini. Con il XX secolo aumenta la scolarizzazione, e così anche per le donne aumentano le possibilità di esprimere il sapere e quindi il proprio pensiero. E per questo che i movimenti femminili degli anni ‘70 si differenziano dagli altri, caratterizzandosi per il carattere puramente politico, rispetto ad una ricaduta nei campi del sapere. A più di 30 anni di distanza, nelle facoltà universitarie, la popolazione femminile è addirittura superiore a quella maschile. Le donne studiano, intraprendono la carriera delle ricercatrici e favoriscono così una sempre crescente confidenza tra le donne e il sapere scientifico. Le ribelli degli anni ‘70, oggi sono ricercatrici, avvocati, dottoresse che si trovano in condizione di modificare il corso di elementi e situazioni per le quali prima non avevano conoscenza e persino diritto di parola. Per loro c’è l’opportunità di ottenere le stesse possibilità di lavoro. I principi delle pari opportunità sono contenuti nella Costituzione agli Art. 3, 37, 51 e 117. Il D. Lgs. 29/93 che dispone che almeno 1/3 delle donne sia parte nelle commissioni degli uffici pubblici.
La legge costituzionale che ha modificato l’art. 51 della Costituzione, il 5 maggio 2003, dispone la rappresentazione delle donne nelle cariche politiche.
Esistono per questo organi di parità: strumenti di osservazione, discussione e promozione di politiche di uguaglianza fra i generi (donna – uomo) così come per le diversità (culturali, disabilità, orientamento sessuale, razza).
Gli organi che supportano le pari opportunità sono:
  • Il dipartimento per le pari opportunità che assiste il Ministro per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
  • La commissione nazionale per le pari opportunità istituita nel 1984 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, formata da 30 donne in rappresentanza di associazioni e movimenti.
  • Il Comitato Nazionale di parità presso il Ministero del Lavoro e della P.S. che ha il compito di rimuovere le discriminazioni e gli ostacoli alla parità.
In definitiva, leggi e consuetudini ben diverse dal passato hanno prodotto passi avanti notevoli per le donne, che seppur in numero limitato (rispetto agli uomini) siedono nei posti di potere. La questione ora è diventata decidere quali siano gli strumenti più idonei per perseguire e per raggiungere l’obiettivo di un’equilibrata rappresentanza fra i sessi, focalizzando l’attenzione sull’utilità e sulla praticabilità dell’azione di quote garantite, che però fanno sorgere dubbi sulla legittimità del discriminare (ulteriormente) per uguagliare.
L´art. 3 della Costituzione, cita i due aspetti dell’uguaglianza formale e sostanziale.
Se si fa riferimento alla sola uguaglianza formale, è difficile sostenere la legittimità costituzionale di qualsiasi previsione tendente ad azioni positive, se si fa riferimento invece al principio di uguaglianza sostanziale, invece sarebbe costituzionalmente lecita l’introduzione di azioni positive, limitatamente alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale. Nello specifico, l’inizio degli anni ‘90 è stato caratterizzato da una produzione normativa volta ad assicurare quote alla rappresentanza femminile. Questo fino alla sentenza n. 422/95 della Corte Costituzionale che contestava il principio di uguaglianza dichiarando illegittime tutte quelle norme che imponevano nella presentazione delle candidature qualsiasi forma di quote in relazione del sesso dei candidati.
La sentenza è stata considerata come un arretramento rispetto alla meta del riequilibrio della rappresentanza femminile, costituendo però un punto di snodo nel processo di definizione degli strumenti giuridici diretti ad assicurare tale obiettivo. Tutte le discussioni comunque confermano il raggiungimento di uno status paritario delle donne, testimoniato dalla loro presenza al tavolo delle contrattazioni.