Neuropsichiatria infantile
La neuropsichiatria infantile è una branca specialistica della medicina che si occupa dello sviluppo neuropsichico e dei suoi disturbi, neurologici e psichici, nell’età fra zero e diciotto anni. Tradizionalmente in Italia il neuropsichiatra infantile è il referente per lo sviluppo psicomotorio e le sue difficoltà e per le condizioni di handicap neuropsichico.
I CENNI STORICI
Nata nel secondo dopoguerra come subspecializzazione della neuropsichiatria (Clinica delle malattie nervose e mentali) in Italia è rimasta unificata mentre altrove ha seguito le vicende del settore adulti, che negli anni ´70 si è suddiviso in psichiatria e neurologia. Anche nel campo adulti è in atto però una spinta alla riunificazione, che già trova un contenitore nella voce ´neuroscienze´ che fa riferimento alla ricerca biologica sul ´cervello´ e il suo funzionamento. In effetti però gli specialisti per lo più si sono perfezionati in un solo settore, anche per la crescente complessità della materia, che difficilmente può essere affrontata complessivamente ad alto livello da una singola persona. A loro volta sia neurologia che psichiatria si suddividono in altre sub-specializzazioni, specialmente a livello di centri universitari, per cui in neurologia troviamo subspecializzazioni in neurofisiopatologia, epilettologia e simili, mentre in psichiatria troviamo orientamenti neuropsicologici, psicoterapici, psicofarmacologici, raramente uniti in un singolo specialista. Come per il campo della psichiatria generale, diverse correnti di pensiero hanno attraversato la neuropsichiatria infantile influenzando nel corso di vari decenni gli orientamenti di base e le impostazioni scientifiche e metodologiche prevalenti. Si sono succedute così ´idee dominanti´, dapprima quella psicoanalitica, poi quella biologico-cognitivista che per così dire tendono, o hanno teso, a monopolizzare gli orientamenti dei più, con l´effetto sgradevole di mode o imposizioni, più che di un confronto e dibattito realmente scientifico. Al movimento antipsichiatrico che nella psichiatria adulti portò alla chiusura dei manicomi e alla riorganizzazione dei servizi sul territorio, o almeno al tentativo di farlo, è corrisposto nel settore infanzia (e adolescenza), come linea di tendenza che ha unificato operativamente le diverse spinte esistenti, un movimento per l´integrazione nelle scuole, in classi normali, dei soggetti variamente disabili che prima erano inseriti invece in classi speciali o istituti speciali, differenziali, come avviene tuttora in altri paesi del mondo occidentale. Come per la legge 180 nel ´78 nel settore adulti, che ha sancito la Riforma Psichiatrica, questa evoluzione ha trovato riscontro nella promulgazione della Legge 104 del 1992 sui diritti delle persone handicappate ed ha fortemente improntato l´organizzazione dei servizi per più di un decennio. Indubbiamente questo ha influenzato fortemente l´operatività dei neuropsichiatri infantili, specialmente a livello dei servizi territoriali, in un lavoro strettamente collegato con le scuole e in stretta collaborazione con professionalità non mediche, quali quelle dei logopedisti, fisioterapisti, assistenti sociali, educatori oltre che insegnanti curricolari e di sostegno. Da molte parti sembra oggi di intravedere i segni di una riorganizzazione, sulla spinta delle aree di inefficienza e della mancata risposta a problemi emergenti, come ad esempio per quanto riguarda l´area dell´adolescenza e in particolare dello scompenso adolescenziale, oltre che per i complessi problemi posti dall´ondata immigratoria.
Due i nomi ai quali è legata in Italia la nascita della Neuropsichiatria Infantile: Sante De Sanctis e Giuseppe Montesano. Una terza persona fu molto incisiva in questo campo, Maria Montessori, che però passò presto ad occuparsi dello sviluppo del bambino normale. Un momento importante fu quello in cui De Sanctis, alla chiusura del 16° Congresso della Società di Freniatria Italiana, nel 1922, difese ufficialmente la disciplina e ne chiese in modo deciso l’autonomia. A Genova Ugo Cerletti aprì nel 1930 il primo reparto universitario di Neuropsichiatria Infantile, seguito poco dopo da De Sanctis, il quale, appena chiamato a dirigere la Clinica Neuropsichiatrica di Roma, vi aprì una Sezione per la Neuropsichiatria Infantile. Nel 1956 furono assegnate poi le prime docenze e sempre in quegli anni aperte le prime scuole di specializzazione, nel 1959 a Roma, nel 1960 a Genova, nel 1962 a Pisa. Molti CMPP furono aperti allora, così come numerosi Istituti Medico-Psico-Pedagogici per ragazzi e bambini in difficoltà. Negli anni Sessanta, quindi, vari atenei inserirono l’insegnamento della Neuropsichiatria Infantile come materia complementare nel corso degli studi medici, istituendo poi cattedre di ruolo, la prima delle quali a Messina (1963), con Franco De Franco, la seconda a Roma (1965), con Giovanni Bollea. Oggi quasi tutte le università italiane hanno l’insegnamento della Neuropsichiatria Infantile, con cattedre di ruolo e diversi sono i reparti per le degenze, riservati a soggetti in età evolutiva con patologia neuropsichiatria, reparti con annessi day hospital, ambulatori e così via. Anche sul territorio la disciplina è collocata in modo abbastanza uniforme (Unità Operative di Neuropsichiatria Infantile dell’Infanzia e della Adolescenza), in modo tale da garantire un servizio qualificato e abbastanza capillare.
LE SCUOLE DI FORMAZIONE, UNIVERSITA’ E CORSI DI AGGIORNAMENTO
Per diventare professionisti nel settore bisogna prima conseguire la laurea in medicina e chirurgia e poi accedere alle scuole di specializzazione universitaria in Neuropsichiatria infantile della durata di 5 anni. In pratica, con questo percorso, si diventa lo specialista dell´handicap e della sua gestione globale, nel suo ruolo di consulente per le scuole previsto dalla Legge 104/92, e di referente per le famiglie per tutti i problemi connessi. E´ da notare che non vi è una figura corrispondente per l´assistenza all´handicap negli adulti. Il gruppo di lavoro in neuropsichiatria infantile, o Salute Mentale dell´Infanzia e dell´Adolescenza, è costituito normalmente da diverse figure professionali esperte in età evolutiva, come lo psicologo dell´età evolutiva, il terapista della neuro e psicomotricità dell´età evolutiva, il logopedista, l´educatore, l´assistente sociale, l´infermiere e altri. Nei gruppi di lavoro costituiti per l´integrazione scolastica delle persone handicappate che si riuniscono periodicamente per la definizione e la verifica dei PEI (Piani Educativi Individualizzati) è presente anche la figura dell´insegnante di sostegno e dell´assistente scolastico accanto a quella degli insegnanti curricolari, in ogni ordine di scuola. Gli ambiti assistenziali in cui opera il neuropsichiatra infantile sono: l´ospedale, più o meno collegato con l´università, per la diagnosi e la cura delle forme morbose complesse e delle malattie rare o acute e i servizi territoriali delle ASL per l´assistenza globale. Il neuropsichiatra infantile svolge la funzione di CTU (consulente tecnico d´ufficio) su incarico del Tribunale di ogni ordine e grado, su quesiti specifici dei giudici, in particolare in merito alle questioni di affidamento di minori nelle separazioni genitoriali conflittuali o nelle situazioni di abusi o trascuratezza, oltre che nella definizione dei provvedimenti di tutela quali l´interdizione, l´inabilitazione e, più recentemente, l´amministrazione di sostegno.
In Italia sono presenti scuole di specializzazione universitaria in Neuropsichiatria infantile presso le seguenti sedi: Verona, Modena, Genova, Catania, Padova, Parma, Brescia, Bologna, Cagliari, Firenze, Milano Università degli Studi, Milano Bicocca, Palermo, Pisa, Roma La Sapienza, Roma Tor Vergata, Roma Cattolica Sacro Cuore, Pavia, Torino, Perugia, Messina, Bari, Seconda Università degli Studi di Napoli.
PRESENZA IN ITALIA ED EFFICACIA SULLA POPOLAZIONE
L´interesse dei pediatri di famiglia per le problematiche psico-sociali che riguardano i loro assistiti sta assumendo una sempre maggiore rilevanza, perché queste rappresentano oggi un settore di grande rilievo socio-sanitario, nei confronti del quale gli stessi pediatri dimostrano un´ accresciuta sensibilità e competenza.
Con la diminuzione della mortalità e morbilità infantile, emergono situazioni di disagio che sono chiamate le “nuove morbilità”, per le quali è necessaria una grande capacità di lettura del sistema relazionale bambini, famiglia, ambiente. Queste nuove e rilevanti morbilità dell´infanzia e dell´adolescenza richiedono un approccio più articolato e complesso, sia per quanto riguarda l´iter diagnostico che per le possibilità di intervento terapeutico.
Tale approccio comporta, per le figure professionali coinvolte, adeguati percorsi formativi sia all´interno della formazione complementare sia di quella permanente.
Accanto alla pediatria tradizionale focalizzata sul bambino, centrata sulla prevenzione delle malattie, sulla correttezza della diagnosi e sull´adeguatezza della terapia, sul raggiungimento del benessere fisico, sta emergendo la consapevolezza di doversi orientare verso una pediatria definita “ecologica” che tenga conto del ruolo della famiglia, della comunità, dell´ambiente e delle scelte politiche e che sappia, quindi, affrontare in modo unitario un discorso clinico che comprenda soma, psiche ed ambiente.
Al pediatra di famiglia è affidato l´importante compito della tutela sanitaria all´infanzia, che si attua all´interno dell´Area Pediatrica, definita come complesso di spazi e servizi adattati alle esigenze psico-affettive del bambino e della sua famiglia e come complesso di prestazioni fornite da operatori specificamente formati e preparati.
Il pediatra di famiglia ha il compito di attivare e di essere quasi il regista di quel processo organizzativo, definito come percorso assistenziale volto a risolvere in modo appropriato ed efficace i problemi sanitari, e sociosanitari, dei suoi assistiti.
Spetta, invece, ai livelli distrettuale, aziendale, regionale e nazionale garantire che non ci siano ostacoli organizzativi e normativi all´affermazione piena del diritto alla salute.
La salute mentale dell´infanzia, la sua promozione, e l´utilizzo corretto degli psicofarmaci in età pediatrica, e più in generale l´organizzazione territoriale della neuropsichiatria infantile meritano una riflessione più ampia.
Sostenere il diritto dei bambini affetti da problemi neuropsichiatrici di ricevere la necessaria assistenza sanitaria significa che pediatri di famiglia e neuropsichiatri infantili debbono incontrarsi e dialogare su aspetti concreti.
È necessario che entrambe le figure professionali, anche se in tempi e con ruoli diversi, collaborino per trovare strade comuni e condivise per rendere più facile e produttivo il lavoro, attraverso progetti formativi, costruzione di linee guida, identificazione di percorsi assistenziali per le patologie di comune interesse e corresponsabilità, come sta già avvenendo in alcune Regioni.
Significa, cioè, identificare, anche a livello istituzionale, un percorso che veda unite la pediatria di famiglia e la neuropsichiatria infantile. Prendendo ad esempio la Sindrome da Deficit di Attenzione con Iperattività (ADHD), una priorità è l´identificazione del corretto percorso assistenziale dei bambini con sospetto e confermato ADHD, cioè chi fa cosa, e dove. Nel Sistema Sanitario Italiano vige il modello dell´integrazione dei servizi e delle competenze. In questa specifica situazione si pone come priorità l´identificazione concordata tra pediatri e neuropsichiatri di linee guida condivise, che portino all´individuazione e attuazione del corretto percorso assistenziale.
Esistono già linee guida basate sull´EBM (Evidence-Based Medicine), licenziate dalle più autorevoli società pediatriche e neuropsichiatriche internazionali.
L´ADHD è una patologia territoriale, come la maggior parte delle malattie neuropsichiatriche, ed in tale contesto deve essere inquadrata se si vuole operare correttamente e con chiare e visibili ricadute concrete in termini di efficacia ed efficienza.
La Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), ritiene che i pediatri debbano esercitare, così come in sistemi sanitari diversi dal nostro, un ruolo importante in questo percorso, senza sostituirsi ai neuropsichiatri infantili. I pediatri di famiglia, infatti, che hanno la conoscenza diretta della famiglia e del bambino, rappresentano il primo livello assistenziale.
Dovranno essere in grado di interpretare qualitativamente dati anamnestici e comportamentali e di eseguire un´intervista strutturata o semi-strutturata che potrà terminare anche con il DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual, il manuale diagnostico e statistico utilizzato per classificare i disturbi mentali sulla base di caratteristiche descrittive, elaborato dall´ American Psychiatric Association), o altro sistema ritenuto idoneo, potendo formulare il sospetto diagnostico per l´attivazione della consulenza neuropsichiatria infantile e il successivo coinvolgimento di tutte le altre figure necessarie all´ulteriore processo diagnostico e terapeutico.
TRATTATO DESCRITTIVO
L’esame neurologico del bambino va differenziato a seconda dell’età del piccolo paziente, variando significativamente quando riguarda il neonato, il lattante, l’età infantile o l’adolescenza. Un buon esame neurologico deve essere sempre integrato da un’attenta anamnesi nei suoi vari aspetti. Le informazioni che si possono ricavare da una storia clinica dettagliata consentono un approccio diagnostico alla malattia in questione altamente significativo. Dall’anamnesi bisogna ricavare notizie relative a malattie presenti nella famiglia, ma anche la storia clinica della gravidanza, con eventuali anomalie che hanno interessato la placenta. Importanti sono anche i primi movimenti alla nascita, quando è stato emesso il primo vagito, quale era il colorito del neonato, se il pianto del bambino poteva considerarsi valido. Notevole importanza riveste poi il peso alla nascita, è noto che un bambino con peso molto basso alla nascita abbia maggiori probabilità di danno celebrale. Nel bambino bisogna valutare il momento in cui sono iniziati i segni del danno celebrale e stabilire se il danno è rimasto stabile o se è progredito nel tempo.
Esame neurologico neonatale
Una valutazione neurologica può essere compiuta già nelle prime ore successive al parto. L’esame approfondito va eseguito immediatamente, alla nascita, e durante le prime 24 ore di vita del neonato. Per ottenere una valutazione completa poi è necessario ripetere l’esame al terzo giorno di vita, dopo un periodo di adattamento del soggetto alla vita extrauterina e di stabilizzazione dei vari parametri biochimici e metabolici. Comunque è opportuno ripeterlo quando si manifestano anomalie o si sospettano deficit. Sarebbe meglio esaminare il piccolo in un ambiente ben illuminato e riscaldato, in un momento distante dalla poppata (circa 2 ore) per evitare che lo stato di rilassamento postprandiale o la frequente irrequietezza che precede il momento dell’assunzione dell’alimento influenzino le risposte.
Si osservano: il comportamento spontaneo durante i diversi stadi di vigilanza, il pianto ed una serie di prove atte a valutare il tono e la forza muscolare, i riflessi e le risposte motorie agli stimoli e , più in generale, la capacità e la qualità di interazione con l’esaminatore.
Dell’esame generale fanno parte anche la valutazione sulle dimensioni del cranio (circonferenza normale 35 cm), l’eventuale presenza di macchie cutanee, la facies e l’aspetto generale (forma ed atteggiamento degli occhi o la loro distanza, forma dell’iride, caratteristiche dei capelli o presenza di ciuffi anomali, dimensione del naso, il fegato, la milza e gli altri organi (presenza di soffio cardiaco, forma e dimensione dei genitali).
Esame neurologico nella prima infanzia
In tale esame si ricercano accuratamente e rigorosamente i comuni segni neurologici indicativi di patologia, valutando sistematicamente lo sviluppo psichico, motorio e comportamentale del soggetto. L’esame neurologico in questa fase della vita del paziente è opportuno svolgerlo in presenza della madre, chiedendone la collaborazione attiva. Si può procedere con la madre accanto al lettino dove giace il bambino oppure, se il bambino rimane seduto, sulle gambe della madre o accanto ad essa. Alla madre viene chiesto di giocare col bambino o svolgere semplice funzione di rassicurazione. L’osservazione generale interessa il capo, la cute, il torace, il cuore, l’addome, gli organi ipocondriaci, l’apparato osseo ed articolare ed i genitali.
Poi ci sono le valutazioni delle varie fasi dello sviluppo.
– Sei mesi
Si osserva la postura del bambino, se riesce a stare seduto senza appoggio esterno, puntellandosi con gli arti inferiori. Attenzione si rivolge alla motilità, se il bambino è capace di raggiungere gli oggetti con la mano ed è in grado di afferrarli. Si valutano anche i vari tipi di riflessi.
– Dodici mesi
L’analisi verifica se il bambino si alza in piedi e muove i primi passi autonomi, se la manipolazione avviene correttamente con uso preferenziale della mano destra, se pronuncia le prime parole, se è capace di riconoscere i familiari a distanza e comprende il significato di frasi semplici.
– Ventiquattro mesi
Bisogna valutare se è capace di correre, saltare, salire le scale e calciare la palla. Se è capace di usare il bicchiere ed il cucchiaio, se costruisce torri e cubi, se inizia a scarabocchiare. Il vocabolario deve includere 100 parole con formulazione di frasi comprendenti un verbo. In questa fase deve conoscere le parti del proprio corpo ed ha il senso dello spazio.
Esame neurologico nella seconda e terza infanzia
A partire dal terzo anno di vita l’esame neurologico si avvicina sempre più a quello dell’adulto, divenendo del tutto sovrapponibile a questo intorno all’età scolare ( 6 anni circa).
Di solito i bambini non amano essere svestiti e quindi questa procedura dovrebbe essere richiesta e poi eseguita a tappe successive valutando per ciascun bambino il momento più opportuno e cominciando possibilmente dalle scarpe e dalle calze per esaminare bene sin dall’inizio il movimento dei piedi e delle gambe.
La valutazione neurologica vera e propria segue un ordine predeterminato: prima in posizione seduta ed in piedi, poi la valutazione dell’andatura e quella in posizione prona o supina.
Durante l’esame del bambino in posizione seduta si osservano: la motilità spontanea, i riflessi tendinei, i riflessi cutaneo – mucosi, il trofismo muscolare, il tono muscolare, la forza muscolare, tronco e capo, la sensibilità (tattile e dolorifica), la valutazione dei nervi cranici (olfattivo, ottico, oculomotori, trigemino, facciale, vestibolo cocleare, vago, accessorio).
Durante l’esame in posizione eretta si osservano: la postura, la motilità spontanea, la postura con braccia tese, la presenza di movimenti involontari, i movimenti in generale, la coordinazione.
Infine durante l’esame dell’andatura e della stazione eretta si osservano: l’andatura, la deambulazione su una linea dritta, la deambulazione in punta di piedi, la deambulazione sui talloni, la stazione eretta su un piede, il salto su un piede e la presa di una palla.
Gli ambiti della neuropsichiatria infantile sono:
– Neurologia dell´età evolutiva
– Paralisi cerebrale infantile
– Malattie neuromuscolari (es. distrofia muscolare, amiotrofia spinale)
– Cefalee dell´età evolutiva
– Epilessia
– Traumi cranici
– Tumori cerebrali infantili
La Psichiatria dell´età evolutiva si occupa di:
– Ritardo mentale
– Disturbi dello sviluppo psicologico
– Disturbi dell´apprendimento
– Disturbi del linguaggio
– Autismo infantile e psicosi dell´età evolutiva
– Disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia in età evolutiva)
– Depressione nell´infanzia e nell´adolescenza
– Disturbi della personalità nell´infanzia e nell´adolescenza
– Disturbi del comportamento, dell´emotività e del funzionamento sociale
– Scompenso adolescenziale
– Neurologia dell´età evolutiva
La paralisi cerebrale infantile
La paralisi cerebrale infantile è un disturbo persistente ma non progressivo della postura e del movimento dovuto ad alterazioni della funzione cerebrale infantile prima che il sistema nervoso centrale abbia completato il suo sviluppo. La paralisi cerebrale infantile rappresenta l’esito di una lesione del sistema nervoso centrale che abbia comportato una perdita più o meno estesa di tessuto cerebrale. Le manifestazioni della lesione sono caratterizzate prevalentemente, ma non esclusivamente, da un’alterazione delle funzioni motorie. L’evento lesivo può aver avuto origine in epoca prenatale, perinatale o postnatale, ma in ogni caso entro i primi tre anni di vita del bambino, periodo di tempo in cui vengono completate le principali fasi di crescita e sviluppo della funzione cerebrale nell´essere umano. Il disturbo è definito come persistente, in quanto la lesione a carico del cervello non è suscettibile di “guarigione” in senso stretto, ma la patologia non tende al peggioramento spontaneo perché la lesione stessa, sostituita da tessuto cicatriziale, non va incontro a fenomeni degenerativi. Le manifestazioni della malattia, comunque, non sono fisse, perché i sintomi mutano nel corso del tempo e possono beneficiare di un trattamento di tipo riabilitativo o, nei casi più gravi, chirurgico. La paralisi cerebrale infantile non è un disturbo omogeneo, poiché la patologia può assumere livelli diversi di gravità e manifestarsi in forme anche molto differenti l’una dall’altra. La classificazione più seguita a livello internazionale è basata su criteri che combinano la localizzazione topografica delle difficoltà motorie (es. difficoltà a livello di un emilato corporeo) con le caratteristiche anomale del movimento (es. ipertonia di tipo spastico). Le forme tetraplegiche risultano le più frequenti, assommando a circa 1/3 di tutti i casi di paralisi cerebrale infantile.
Classificazione in base alla sede del disturbo motorio.
– Tetraplegia (disturbo del controllo motorio del tronco e dei quattro arti).
– Emiplegia (disturbo del controllo motorio di un emilato).
– Diplegia (disturbo del controllo motorio dei quattro arti, ma prevalente agli arti inferiori.
L’interruzione delle vie ascendenti e discendenti del midollo spinale, per un trauma, un processo tumorale o un´ischemia determina una paralisi degli arti inferiori e nei casi più gravi, anche di quelli superiori. Si parla di tetraplegia se la zona del midollo spinale colpita è quella cervicale, di paraplegia se invece la zona ad essere colpita è quella dorsale o lombare. Le lesioni spinali possono essere:
– complete,
– incomplete generalmente una lesione che consente al paziente di mantenere una parte della sensibilità o della possibilità di controllo motorio al di sotto del livello neurologico della lesione.
Ai danni motori e sensitivi si aggiungono una serie di problemi viscerali tra cui la perdita di sensibilità e motilità degli sfinteri che comporta la difficoltà delle persone colpite da questo tipo di paralisi ad espletare le normali funzioni corporali, infatti nella maggior parte dei casi urinare spontaneamente diventa impossibile (vescica neurologica), lo sfintere vescicale essendo un muscolo volontario non funzionando lo rende impossibile. Si deve in questi casi ricorrere all´utilizzo di un catetere estemporaneo che permette di svuotare la vescica completamente e al bisogno. Anche le funzioni intestinali sono compromesse, venendo a mancare parte dei muscoli addominali, la sensibilità e il controllo dello sfintere anale, muscolo volontario, la maggior parte delle persone deve ricorrere all´aiuto di manovre manuali per riuscire ad ottenere uno svuotamento dell´ampolla.
Oggi non esiste ancora una cura per la paralisi causata da danni al midollo spinale, esistono però studi di rigenerazione del sistema nervoso centrale, basati sulle cellule staminali. A supporto di questi studi, negli ultimi anni sono nate importanti organizzazioni no-profit per la raccolta fondi finalizzati al finanziamento della ricerca scientifica, fondate molto spesso da persone con lesione midollare.
Tetraplegia da lesione cerebrale
Una lesione cerebrale in età infantile precoce (paralisi cerebrale infantile) o in epoche successive della vita provoca una tetraplegia se vengono danneggiate estesamente le aree encefaliche deputate al controllo della motilità volontaria. Nell´ambito della paralisi cerebrale infantile i termini tetraplegia e tetraparesi sono di fatto sinonimi, poiché la paralisi completa del movimento (tetraplegia) in questa patologia è un evento rarissimo. I pazienti necessitano di un´assistenza quotidiana in quanto quasi totalmente non-autosufficienti negli spostamenti, nell´alimentazione, nel vestirsi e nell´espletare i bisogno fisiologici. Inoltre le complicanze respiratorie rendono precaria la salute generale. La emiplegia è un deficit motorio che interessa un emilato. Nei primi mesi di vita si evidenzia una asimmetria negli schemi motori del bambino; deambulazione in lieve ritardo poi vistosamente asimmetrica, difficoltà nell´uso della mano paretica nell´esecuzione di prassi e fini e nella presa con forza. Nel caso di emiparesi destra è frequente il mancinismo vicariante e problemi dello sviluppo linguistico.
Per quanto riguarda l´emiplegia nell´adulto, essa può essere dovuta a varie cause:
– vascolari (ictus o emorragia)
– traumatiche
– tumorali
– degenerative
– infettive
– malformazioni
I segni si possono manifestare all´improvviso oppure in modo graduale. Le fasi dello sviluppo dell´emiplegia sono sostanzialmente due: fase acuta in cui prevale una paralisi flaccida e dura mediamente dalle 2 alle 6 settimane, e fase sub-acuta in cui prevale la paralisi spastica e i segni vanno in contro a stabilizzazione. In questa fase si manifestano sincinesie o sinergie, reazioni associate ed è possibile un recupero motorio funzionale.
I segni secondari che caratterizzano l´emiplegia sono:
– motori: vi è un deficit di reclutamento delle unità motorie;
– iperreflessia definita come abnorme reazione al riflesso da stiramento dovuta ad una mancata inibizione del sistema piramidale (danneggiato);
– comparsa dei riflessi primitivi per mancata inibizione di questi (riflesso di babinsky, riflessi tonici del collo, estensione crociata…);
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